giovedì 24 dicembre 2015

mercoledì 28 ottobre 2015

Maserati Quattroporte M.Y. 2016 #themaser



Iniziamo da lontano, indietro nel tempo e geograficamente verso ovest. Siamo nel 2009.
Circa 150 miglia (250 chilometri) a sud-ovest di Las Vegas e 120 miglia (190 chilometri) a nord-est di Los Angeles, nella San Bernardino County, in una California che probabilmente non conoscete, in mezzo al deserto ai piedi della Valle della Morte c’è Barstow. Be’, oggi sono a Barstow. Sto guidando una Ford Mustang che scalpita e sbraita nel calore del deserto californiano. Un 4 litri V6 che produce 210 cavalli, (avete letto bene) e trasforma la potenza in rumore, fumo e personalità, ma di sicuro non in prestazioni.
Accosto in uno degli “slot” del parcheggio di un motel di fronte a un diner. Con una N sola perché vuol dire tavola calda e non cena. Non chiudo nemmeno l’auto. Mi è stato garantito che da queste parti non c’è micro criminalità e al massimo, quoto testuali parole, “ti sparano se non gli piaci”, mi è stato detto. Attraverso la strada, calpestando l’asfalto rovente con scarpe di cuoio, perché non è che sia mai stato uno di quelli furbi, ed entro nel diner. Dentro trovo un paio di uomini enormi cresciuti a mais e burro d’arachidi, una cameriera ispanica, un’altra donna (che potrebbe avere 27 anni così come 57) in compagnia di quello che immagino sia suo figlio e un uomo seduto al tavolo più vicino alla vetrata, magro e con occhiali da architetto. Tutti alzano lo sguardo e lo posano di me per cinque secondi mentre varco la soglia. Straniero e strano, ma nessuna minaccia. Dopo cinque secondi ognuno torna a concentrarsi sul proprio pasto o sul proprio lavoro. Tranne l’uomo magro con gli occhiali da architetto. Mi siedo specularmente di fronte a lui, a due file di tavoli di distanza, vicino alla vetrata per tenere d’occhio l’auto.
Passano nemmeno trenta secondi e l’uomo magro con gli occhiali da architetto mi chiede, “Da dove vieni?”
“Firenze, Toscana, Italia.”, rispondo io.
“E che diavolo ci fai qua?”.
Giusta osservazione. Bella domanda. Non lo so che ci faccio qua. Immagino che sia l’infinita curiosità ingegneristicamente incernierata nel nostro d.n.a. dall'alba dei tempi o il sapore della scoperta. Oppure sono qua perché ho letto troppi libri e visto troppi film ambientati nell'America sconosciuta e mistica dei diners, dei motel e delle strade deserte.




Fatto sta che ha ragione lui. Che ci faccio qua?  Giratela come volete la frittata. Impanatela e friggetela, metteteci sopra lo zucchero o il sale o entrambi. La verità dura e pura e cruda e che l’Italia è bellissima. Da Nord a Sud, da Est a Ovest. Pochi ci tengono testa per la storia e l’arte, meno ancora per la cucina e le automobili, e praticamente nessuno è in grado di tenere testa se combinate il tutto.
Facciamo adesso un salto nel futuro, che poi sarebbe il presente, e siamo di nuovo nel 2015. Sono a Modena, nello specifico a Castelvetro di Modena, nella Motor Valley. L’Emilia Romagna ha poco da invidiare in quanto ad arte, meno ancora da invidiare in quanto a cucina (a Modena si trova l’Osteria Francescana, il secondo miglior ristorante al mondo) e tutto da insegnare se parliamo di auto. Da Piazza Roma, qui a Castelvetro, si vedono le colline e la campagna. Bene, nel raggio di poche decine di km quadrati da qui sono nate Ferrari, Lamborghini, Pagani, De Tomaso e Maserati. Anche Bugatti è passata di qui, tra la fine degli anni ’80 e la metà dei ’90 (quand'era di proprietà di Romano Artioli, l’uomo che ha dato il nome alla Lotus Elise) la sede era a Campogalliano, in provincia di Modena.



Parliamo un po’ meglio di Maserati e iniziamo con una breve lezione di storia. Officine Alfieri Maserati fu fondata a Bologna nel 1914 dai fratelli Maserati. L'ispirazione per il Tridente, simbolo e logo del marchio, venne dalla Fontana del Nettuno, nell'eponima piazza a Bologna. Nei suoi 101 anni di storia Maserati ha vissuto vicissitudini e picchi di gloria, come ad esempio quando vinse il campionato di F1 nel 1957 con un certo Juan Manuel Fangio alla guida della 250F, e la doppia vittoria 500 Miglia di Indianapolis, con Wilbur Shaw, nel '39 e nel '40.
Ancora oggi, primo ed unico costruttore Italiano a trionfare alla storica gara in Indiana, Stati Uniti. Negli anni è passata sotto il controllo dei fratelli Orsi, furono loro a spostare la sede da Bologna a Modena negli anni '30, è stata successivamente di proprietà di Citroën, De Tomaso, Fiat, Ferrari e oggi fa capo al gruppo FCA (Fiat Chrysler Automobiles). Sotto il controllo del gruppo Italo-Americano, il marchio del Tridente sta vivendo una rinascita. La produzione è passata dai 6.300 modelli del 2011, agli oltre 36.500 del 2014.



Maserati ha in gamma quattro modelli al momento. Ghibli, GranTurismo, GranCabrio e Quattroporte, quest'ultima è quella che ci interessa oggi. Il motore è un 3 litri biturbo da 410 cavalli che dal 2013, insieme al 3 litri diesel e 3,8 V8 della GTS, ha sostituito il 4,2 e 4,7 litri aspirato. Il nuovo propulsore ha migliorato i consumi, le prestazioni e le emissioni. La gigantessa (5 metri e 20 di lunghezza) si muove come un gattone docile, fluttuando in 7° o 8° a 50 o 70 orari. Ma sa anche muoversi come un ocelot, da 0 a ben oltre 130 in 3°. E in fretta. Il nuovo 3 litri con doppia sovralimentazione l’ha resa un’auto più progressiva e incrementale; il classico calcio nelle reni da “gas in fondo” si è trasformato in un'inesorabile accelerazione che diventa irresistibile mentre salgono i giri. La Quattroporte scalpita nel settore delle "uber-berline" di lusso, ma mentre le rivali sono un po' delle laureate snob, la “Maser” somiglia più a un playboy ribelle che, alla fine del ballo della scuola, è quello che si porta a casa la bella della festa.



Maserati è diventata leggendaria facendo cose leggendarie. E non solamente per le vittorie in F1 con Fangio e alle due vittorie di Indianapolis con Shaw. Maserati ha preso il segmento quasi per definizione più grigio del settore auto, quello delle berline di lusso, e lo ha ravvivato con la Quattroporte. La “vecchia” nuova Quattroporte uscita nel 2003 era caotica, rissosa, rabbiosa, rumorosa e spettacolare. La “nuova” nuova Quattroporte prodotta dal 2013 che vedete in foto nella versione Model Year 2016 ha la stessa anima, solo un po’ più efficiente e razionale. Va forte. Fa casino. Fa spettacolo. È più razionale e civilizzata, i suoi punti di forza rimangono gli stessi di sempre. La personalità, il look e il sound.

Torniamo per un attimo a sei anni fa e quasi 10.000 km più a Ovest di qua. Il tipo con gli occhiali da architetto paga e se ne va e io ordino caffè. Nero. Niente zucchero, niente latte. So già che farà schifo, ma la caffeina è caffeina e io devo guidare per altre quattro ore nel deserto per tornare in hotel a Las Vegas. Sulla carta, la Mustang che vedo dalla vetrata non ha niente a che vedere con la Maserati Quattroporte. Coupè vs berlina. Aspirato vs turbo. La prima è una working-class hero, la seconda è un’espressione del lusso. Eppure hanno un tratto in comune fondamentale, il più importante per un’auto. La personalità.

Sotto molti aspetti, perdonate la metafora semi-calcistica, la Quattroporte sta al suo segmento di mercato come Melissa Satta sta al salotto di un noto programma sportivo in tarda serata il Lunedì. Rispetto alla concorrenza non vince necessariamente dal punto di vista “tecnico”, ma vive di luce propria.
Ed è davvero difficile smettere di guardarla.



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categoria: auto/prove su strada
luogo: Modena, Ottobre 2015
testo: A. Saetta Vinci 
foto: Maserati
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leggi la prova anche su decappottabiliontheroad.com

mercoledì 21 ottobre 2015

Ritorno al Futuro. DeLorean DMC-12

Nel 2008 Francesco Mandelli (attore, I Soliti Idioti) e Alessandro Cattelan (conduttore, X Factor), allora entrambi VJ di MTV Italia, partirono verso gli Stati Uniti per un programma che si chiamava Lazarus (quasi tutte le puntate del programma sono visibili su YouTube) e che rimane ad oggi il miglior programma televisivo mai prodotto in Italia negli ultimi 10-15 anni.

La premessa era semplice. Un viaggio a tappe per gli U.S.A. nei luoghi dove sono nate o vissute o morte alcune fra le più leggendarie icone culturali degli ultimi 100 anni, per capire se sarebbero ugualmente diventate leggende anche se non fossero schiantati giovani. 
Marylin Monroe, Tupac Shakur, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Elvis Presley, Martin Luther King, Kurt Cobain e la lista continua. Al di là dell’innegabile talento e impatto culturale, quanto ha contribuito la loro morte prematura e quasi sempre violenta e drammatica a renderli immortali nell’immaginario collettivo?

 Ma la mia domanda è; ci sarà mai un altro Elvis? Avremo mai un’altra Marylin? Probabilmente no. 
Il mondo odierno è veloce e impaziente. YouTube, Blogger, Wordpress, vari Talent Show fanno emergere bombe mediatiche da 100 milioni di visualizzazioni in 3 giorni, salvo poi dimenticarsene nel giro di qualche anno. Quando va bene.

Lo stesso vale per le auto. Prendete Ferrari, dalla F40 fino alla F50 per esempio, un decennio in cui ogni auto del Cavallino ha vissuto di luce propria. Ognuna diversa e impossibile da mescolare con un’altra. E poi? Certo La Ferrari LaFerrari e la Enzo sono uniche, ma quanti di voi sarebbero in grado di riconoscere all’istante una 430 da una 360? E una 458 da una 488? E nessun marchio d’auto è più iconico di Ferrari quindi figuriamoci gli altri.

Sicuramente non vi sarà sfuggito (ho contato circa 27 post dei miei contatti su Facebook solo negli ultimi 20 minuti) che il 21 Ottobre 2015, la data di oggi, è quella che appare sulla macchina del tempo in Ritorno al Futuro (parlando di icone, questo film lo è).

La macchina del tempo in questione è la DeLorean DMC-12. Prodotta dalla defunta DeLorean Motor Company dal 1981 al 1983, ne esistono ad oggi solamente 7.000 circa in tutto il mondo. 



La DMC-12 originale montava portiere ad ala di gabbiano e carrozzeria di acciaio inossidabile non verniciata, era equipaggiata con un V6 di derivazione Volvo-Renault (non esattamente una combinazione corsaiola) che da nuovo garantiva 130 cavalli. Quindi a un eventuale test su banco oggi, credo che nessuna DeLorean ancora intatta sarebbe in grado di sviluppare più di 100 cavalli. 
Ufficialmente, l'auto garantiva uno 0-100 in 8,8 secondi, ma nei test effettuati non ha mai fatto meglio di 10. In termini motoristici moderni, da zero a cento in oltre 10 secondi equivale a camminare. 

Era un'auto complessa e avanguardista sotto certi aspetti, anche troppo forse. Un progetto che oggi probabilmente non uscirebbe dal foglio sul quale è stato disegnato. 

Eppure, nel 2015, a 30 anni esatti dal film che la resa famosa siamo ancora qui a ricordarla come uno dei prodotti più interessanti e affascinanti della storia dell’auto.

Così come la DeLorean e così come la saga di Ritorno al Futuro, sono un prodotto degli anni ’80, non ero ancora nato nel 1985 ma mi vanto comunque di far parte dell’unica generazione che è riuscita a godersi la vita senza tecnologia ma che allo stesso tempo non ha dovuto fare alcuna fatica per adattarsi… ma tanto è inutile che continui a scrivere, state probabilmente leggendo questo dal vostro iPhone e sarei onestamente sorpreso se steste ancora leggendo. Così come sarei sorpreso se in questo momento non steste cercando “steste” con un app dizionario sul vostro smartphone per verificare che il congiuntivo imperfetto del verbo stare è proprio “steste”.


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categoria: auto/news 
testo: Ale S. 
foto: Getty
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venerdì 16 ottobre 2015

Monte Carlo. Estuario di Contanti.

Dal primo passo, dal primo sguardo è impossibile fraintendere Monaco. Monte Carlo, Principato di Monaco è una dichiarazione d’intenti. E’ un microcosmo indipendente e individualista che vive, respira, e soprattutto spende per conto proprio. Ci sono pochissimi luoghi al mondo che si possono paragonare, Principato di Andorra, San Marino, Liechtenstein per esempio, ma tutti questi luoghi hanno in comune col principato monegasco solamente le ridotte dimensioni, e il segreto bancario. E se si deve dar retta alle voci, pare che a breve sia destinato a scomparire pure quello.



Dopo un buon millennio incastonato tra Francia e Italia come principato indipendente semplicemente perché nessuno dei due vicini era particolarmente interessato, nel 1854 il gioco d’azzardo fu legalizzato dal principe Florestano I di Monaco e due anni dopo aprì ufficialmente il casinò. Era il 1856. Ci sono voluti secoli di storia per plasmare l’Italia così come la conosciamo. A Monaco sono bastati 100 anni. Il casinò ebbe un successo così immediato e clamoroso da indurre il governo ad abolire completamente le tasse sul reddito dei propri cittadini nel 1869, nel 1929 ci fu il primo gran premio di Formula 1 e nel 1956 Grace Kelly sposò il principe Ranieri III di Monaco. Ecco fatto. Il Gran Premio di Monaco è probabilmente il più famoso e il più ammirato sia dal pubblico che dai piloti, se non altro perché la metà di essi risiede nel Principato. Non è sorprendente che la storia di Monaco sia così strettamente collegata al mondo dell’automobilismo. Per molti fra i milionari e miliardari di contanti, ma tecnicamente in bancarotta in quanto a gusto, le automobili sono quanto di più vicino alla cultura ci possa essere. Vantarsi di una Bugatti è semplicemente più semplice e veloce che vantarsi di un Rembrandt. “Ah sì, Picasso. Ne ho avuta una, accelerazione formidabile ma scarsa tenuta di strada”. Le macchine diventano l’imitazione della civilizzazione in una terra dove nessuno fa niente, o sa niente. La breve storia dell’automobile diventa il Rinascimento che Monte Carlo non ha mai avuto. E' F1, è mare cristallino e 300 giorni annui di sole. Le strade sono pulite e immacolate, gli edifici nuovi e perfettamente curati. Monte Carlo è un magnete per milionari, multi milionari e miliardari. Che siate piloti di F1, attori, artisti, politici, imprenditori i soldi qui sono sempre verdi, puliti o sporchi. E sono strani. Non reagiscono mai come si pensa. Come l’acqua. L’acqua ti scivola tra le dita e si insinua semplicemente attraverso il percorso che offre meno resistenza. E non è sempre bella. O pulita. O limpida. O fresca. Monte Carlo è una pozzanghera di soldi. Un estuario di contanti. Come se l’intero flusso di denaro dell’emisfero occidentale e nord-est europeo avesse trovato il suo percorso naturale attraverso il Continente per sfociare qui, uno stagno di avarizia che poi va a finire nel Mediterraneo.

Qualunque cosa possiate pensare di Monaco, è un bel posto. Le chiacchiere rimangono nei bar dove il caffè costa 3 € (per essere onesti, Piazza della Repubblica a Firenze, Piazza del Duomo a Milano e Knightsbridge, Londra. Solo alcuni esempi tra i posti dove un caffè da seduti costa ben più di 3 €). In particolare, Monte Carlo è un posto speciale per chi ama le auto. Qualunque ora, qualunque giorno dell’anno ci sono almeno due o tre tra Ferrari, Lamborghini e Porsche in Place de Casino. Pensate alle vostre auto preferite, l’auto dei vostri sogni. Lexus LFA, Dodge Viper, Pagani Huayra, Pagani Zonda, Shelby Cobra, Ferrari LaFerrari. Per quanto assurda o rara, statisticamente è qui che avrete più possibilità di vederne una. Io adoro Monte Carlo. E’ qui che ho guidato la mia auto dei sogni, Lexus LFA, è qui che ho visitato il Top Marques ed è qui che ho assistito al mio primo Gran Premio di F1. Il GP di Monaco è il più iconico e leggendario, e il più significativo.

Molti amano associare Monte Carlo alla parola glamour. Perdonate ma non c'è niente di "glamorous" nell'assistere a petrolmiliardari russi alti due metri e larghi due metri braccare la schiena delle loro compagne pneumatiche alte due metri e con seni della circonferenza di due metri. Sicuramente stanno insieme per amore. Monte Carlo è un museo dell'auto a cielo aperto ma non cercateci l'eleganza perché non c'è.

Ho passato ore, in svariate occasioni, a volte solo e a volte in compagnia, seduto ai tavolini esterni del Café de Paris semplicemente bevendo un caffè e guardando le auto che passavano. Spesso nel tentativo di formare nella mia mente una prosa convincente per descrivere su carta un evento, un viaggio o una prova su strada auto da pubblicare qui o . La mia mente si è spesso elasticizzata verso i poli estremi del mio thesaurus, e l'aggettivo elegante non è mai stato tra quelli presenti.

Non ricordo l'anno in cui ho fatto questa foto, forse 2013, forse 2014.
Una Ferrari FF si fa ammirare nel mezzo al circuito, a una settimana dall'inizio del GP. Un uomo molto basso, sovrappeso e con un riporto clamoroso indossa mocassini rosa, jeans rossi, camicia gialla e giacca del team Red Bull. E un cappellino Mercedes.
Sale sulla FF, la fidanzata biondissima e svetlanissima sale dal lato passeggero. E la Ferrari accelera verso il porto.

Ma vedi tu 'sto gran bast...


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categoria: auto/viaggi - news
luogo: Monte Carlo, Principato di Monaco
testo & foto: Ale S.
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domenica 20 settembre 2015

Singapore GP

Il Biondo, che prima conoscevamo come Il Nero, si blocca e si intoppa, costretto al ritiro causa guasto. Hamilton rimane comunque saldamente in testa alla classifica perché Vettel, Ricciardo e Raikkonen (in quest'ordine) relegano il collega/compagno di scuderia/principale rivale per il titolo Rosberg a una "misera" quarta posizione (solamente 12 punti guadagnati).
Rimandato il traguardo dei 41 GP vinti come il suo idolo Senna. Sono invece 42 (superato Senna, nel mirino Alain Prost che ne ha vinti 51) le vittorie dell'energico e talentuoso Vettel (che non ha vinto quattro mondiali solo perché aveva la macchina migliore, come sostenevano in tanti) che vince meritatamente e regala, insieme al finlandese che non ride veramente mai, punti, respiro e morale alla Scuderia Ferrari.

Per il resto?

Degna di menzione l'allegra passeggiata in pista di un fan



e soprattutto Verstappen.

Max l'Olandese, classe 1997, non ha neppure la patente per guidare in strada ma in pista mette talento, grinta agonistica e soprattutto carattere, rispondendo con un secco e inequivocabile "no" all'ordine di scuderia che gli chiedeva di far passare il compagno.

L'ultima menzione per il tracciato (in notturna) di Singapore.

Vessato, criticato e mal digerito dai fan evergreen e amarcord (massì, mettiamoci un po' di parole fighe). Fa troppo caldo, è troppo umido, circuito inutile, brutto, noioso. Queste le critiche. Ok, tutto quello che volete.

Ma guardate qua che spettacolo.


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categoria: auto - news
testo: Ale S.
foto: straittimes
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giovedì 17 settembre 2015

Dal Salone di Francoforte: Porsche Mission-E

Il calendario annuale si divide in oltre centocinquanta tra Motor show, rappresentazioni e fiere. Senza contare lo sterminato numero di raduni locali.
La lista è una saga e include di tutto dal Concorso d’Eleganza di Boca Raton, leggendaria località di lusso a Palm Beach, Florida; fino alla fiera automobilistica di Sofia, Bulgaria.
I saloni più famosi sono Ginevra, Parigi, Tokyo, Detroit e, in corso in questi giorni, Francoforte.
Ogni anno vengono presentati dozzine di nuovi modelli le cui lodi vengono decantate da squadre di giornalisti specializzati che esplorano cataloghi dei loro thesaurus (o forse il plurale è thesauri?) per trovare nuovi sinonimi con cui descrivere assurdi o intriganti concept che verranno cancellati, schiacciati dalle logiche del mercato, oppure completamente stravolti durante la fase di produzione a causa… delle logiche del mercato.
Ogni anno, immancabilmente, Mercedes, Bmw e il gruppo Volkswagen presentano almeno due o tre nuove proposte per ogni marchio che posseggono, quindi nel caso VW le novità sono generalmente due o trecento. Di solito quest’ultima annuncia l’ennesima acquisizione da assimilare al proprio gruppo, già molto ricco visto che VW possiede o controlla, tra le altre, Audi, Seat, Skoda, Bugatti, Bentley, Paperino, Topolino, il Chad, lo Zimbabwe e Spongebob.
Parlando di marchi controllati, associati o posseduti dal gigante di Wolfsburg (e non si tratta di Bas Dost), arriviamo a Porsche.



Onestamente, il mercato dell’auto è amalgamato e sempre più ampio. Mercedes, BMW e Audi esauriranno le lettere dell’alfabeto e i numeri con cui chiamare le loro auto prima di esaurire le idee. E di novità, nel vero senso della parola, ce ne sono poche.
Vediamo; la VW ha presentato la nuova Tiguan, che è basata sulla Golf, c’è la TT coupé, che è basata sulla Golf. In catalogo abbiamo poi la Skoda Superb, che è una Golf, la Skoda Octavia, che è una Golf. E la Skoda Fabia, che è una Polo. Poi, ovviamente, c’è la sobria Bentley Bentayga, che è costruita sulla stessa base dell’Audi Q7. Che è essenzialmente una Volskwagen Touareg.
Porsche ha spezzato la noia color verde oliva che attanaglia ogni salone che si rispetti presentando la Mission-E (giuro, si chiama così davvero).
Vorrei, vorrei davvero criticare. Vorrei prendere in giro: “Ah! Salviamo il petrolio. Salviamo il diritto di inquinare! Salviamo i W16 alimentati a spremute di orsi polari!”
La cruda verità è che il motore termico è, da un punto di vista pratico e non solo etico, semplicemente superato. Questa è la realtà, non è un’opinione, non è un salto mortale moralistico. E' la verità.
Così com’è vero che le migliori due auto che abbia guidato negli ultimi 12-15 mesi, e di gran lunga, sono la BMW i8 e la Tesla Model S.
La Mission-E promette uno 0-100 in 3,5 secondi, 300 miglia di autonomia (circa 482 chilometri), 600 cavalli, l’80 % di carica raggiungibile in soli 15 minuti grazie agli 800 Volt di potenza e un peso inferiore alle due tonnellate.

La Mission-E è una via di mezzo, in dimensioni, tra la Panamera e la 911, anche se in realtà somiglia più a una 911 a quattro porte che a una Panamera in scala ridotta. E' ancora in fase di sviluppo, quindi ogni giudizio è prematuro.

Ma la Porsche Mission-E è solo un’altra dimostrazione di come cambi il gioco quando i grossi giocatori del mondo automobilistico investono e si concentrano sull'elettrico. 



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categoria: auto - news
luogo: Francoforte, Germania (Settembre 2015)
testo: Ale Renesis
foto: Porsche
pubblicato anche su tomshw.it
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mercoledì 5 agosto 2015

Se Sa, Non Parla - Breve presentazione di Wellton e del suo lavoro all'Elefant Hotel di Riga.



Se fossi qui per intervistarlo, incontrerei delle difficoltà perché questo personaggio non promette bene. Non è loquace, in effetti non parla mai, di lui si sa solo che vive e lavora presso il moderno ed eclettico hotel Elefant di Riga dal 2012, anche se alcuni sostengono sia qui dal 2009. Non ci è data la certezza perché le fonti sono vaghe e contraddittorie.
Il suo nome è Wellton e il suo compito all'interno dell’hotel è quello del porter, o forse sarebbe più appropriato riassumere le mansioni che svolge qui utilizzando il termine “accoglienza”. Essenzialmente, Wellton passa le sue giornate (e anche le sue notti) qui, nella hall dell’hotel, in silenzio stoico e in posa statuaria e quasi militaresca, dando il benvenuto ai clienti dell’hotel.

Una figura arcaica, quasi preistorica, di quelle che non esistono più in questi hotel moderni tutto fai-da-te/rifatti-il-letto-da-solo/reception-sempre-aperta-perché-tanto-non-c’è-mai-nessuno.

Se si considerano le evidenti e inevitabili mancanze della sua personalità, c’è da dire che Wellton è davvero un tipo interessante. Quando lo incontro, Wellton è in piedi, come sempre, nella hall dell’hotel e sta svolgendo diligentemente il suo compito.
Provo a fargli alcune domande. Check-out, check-in, cosa c’è da vedere in città, a che ora chiude il bar e cosa ne pensa del rapporto inverso tra la crescita del P.I.L. dello Zimbabwe in relazione alla tendenza all'inflazione nel Gabon in proporzione alla crescita del mercato delle banane in Congo da un punto di vista prettamente geo-socio-politico. Le classiche domande che si fanno agli impiegati degli hotel.
Invano, perché Wellton non risponde, non emette fiato, non si fa distrarre e non perde la sua professionalità. Certamente dedito al lavoro, il tipo.

Alcune caratteristiche fisiche di Wellton le noti per forza quando ti avvicini per presentarti (inutilmente, lui non si muoverà di un millimetro), per esempio è alto, molto alto, supera di molto i due metri e la sua struttura fisica è imponente. Una personalità così mansueta per un ragazzone così grosso. Non voglio insistere nel cercare di scambiarci due chiacchiere perché so quanto il suo lavoro sia fondamentale e lui lo svolge con autorevolezza Samaritana; assorbe ogni abuso, concettuale più che fisico perché è impossibile fargli male, dei bambini che lo circondano mentre i genitori si occupano del check-in.

Lo ammiro, ma allo stesso tempo non riesco a fare a meno di disprezzarlo inconsciamente. Credo che mi dia fastidio la sua impenetrabile flemma, questa sua spettrale mancanza di umanità, la sua passività assoluta e imperturbabile. Fate battute tremende e cattive quanto volete sul suo enorme naso e lui rimarrà freddo, la sua espressione fissa e persa nel vuoto, non rivela nulla. Mai.

Non riesco a fare a meno di fissarlo mentre, al piano superiore dove si trovano le camere dell’hotel, mi affaccio dal balcone e lo guardo dall'alto. E lui se ne sta lì, in piedi sulle sue quattro zampe e con i suoi occhi vuoti, tristi. Mi chiedo se sia costruito in gesso o marmo o granito.

Da lui non lo sapremo mai perché, prima di tutto, Wellton è omertoso.


Se sa, non parla.







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categoria: viaggio
luogo: Riga, Lettonia
testo & foto: Ale S.
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giovedì 23 luglio 2015

#throwbackthursday. Ferrari 458 Italia

Ferrari.
Solo dirlo gonfia i petti, drizza le schiene. Ferrari è uno dei più grandi marchi al mondo. Riconoscibile ovunque e desiderato da tutti. Ferrari è un punto d'arrivo.
Si dice che la Universal avesse tentato di includere La Ferrari LaFerrari in Fast and Furious 7. Non c'è riuscita. Qualunque altra casa automobilistica farebbe carte false per apparire in un franchise di questo livello ma con la casa del Cavallino la situazione è l'esatto opposto.



Ferrari ha da poco messo sul mercato (Febbraio 2015) la nuova 488 GTB che rispetto alla precedente 458 monta un eretico 3,9 litri V8 con doppio turbo, tanti saluti al motore aspirato tanto caro ai puristi. Per celebrare la "nuova" arrivata, ecco la prova della 458 nel 2011.

"Da un punto di vista pragmatico la 458 non è granché. Non ha un bagagliaio utilizzabile, non ha i sedili posteriori, l’abitacolo è angusto, è troppo bassa, troppo larga, troppo lunga, troppo ingombrante, ha una radio, che non si può ascoltare per il rumore del motore, ha il climatizzatore, che non serve a niente perché tanto l’abitacolo conosce solo una temperatura: bollente.
Visto che il motore è esattamente dietro le spalle e scalda parecchio. Parliamo poi del volante. L’ormai già celeberrimo volante della 458 Italia racchiude tutti i comandi dell’auto, e intendo proprio tutti. Tergicristalli, frecce, etc..tutto sul volante. Questo significa che se per caso state girando a destra e volete mettere la freccia a destra dovrete in realtà premere il pulsante che è sulla sinistra del volante, che è girato verso destra, ma dovrete premerlo con la vostra mano sinistra. Per andare a destra. Aggiungiamo pure il prezzo, 197.000 euro. E la potenza. Oh beh certo la 458 Italia ha ben 570 cavalli, ma perché mai questo dovrebbe essere rilevante? Ci sono auto molto più potenti a prezzi più contenuti. Come la Mercedes SLS AMG per esempio, che costa circa 15.000 euro meno della 458 Italia ed è molto più potente. La SLS ha ben 571 cavalli. Addirittura UNO in più rispetto all’Italia. Ah, e non dimentichiamo che la 458 tende a prendere fuoco.
Dicono ci sia qualche problema con un qualche tipo di colla che serve per fissare qualche cosa da qualche parte sull’auto. Che c'è da dire? Parlare di auto fantastiche può essere noioso. Della 458 Italia è stato detto che è bella. Ma dai? E’ veloce. Ma davvero? E’ precisa in curva? No?!!! Seriamente? E soprattutto che è emozionante. Ma pensa!?! Avrei giurato fosse come guidare una Kia Rio. Onestamente scrivere che la 458 è una gran macchina è inutile come scrivere che Jessica Alba è una bella donna. O come scrivere che Tara Palmer-Tomkinson ha qualche vizietto di troppo. Beh, ok, l’ultimo esempio è sbagliato.
Tara Palmer-Tomkinson, detta TPT, è una di quelle che wikipedia definisce “socialite” ovvero personalità pubbliche con un ruolo non meglio precisato. Dicono si sia dovuta rifare il naso più volte perché aveva il gomito del tennista…al naso. Vedete? Parlare di auto di questo genere è come parlare di Elisabetta Canalis, si divaga. Magari ci si impegna per dire qualcosa di costruttivo e si finisce sempre a parlare del suo sedere. O del suo seno. Che più o meno è lo stesso che si può dire sulla 458. Clarkson dice che è la prima Ferrari veramente bella dai tempi della F40. Dice che è divina da guidare. Io dico che è molto elettronica. Ha reazioni estremamente controllate ma che fanno pensare che sia l’auto ad andare da sola e non voi bravi a guidarla. Sì, beh il volante è confuso, l’abitacolo è quasi invivibile per via del motore (e del calore del motore), costa cara e nelle strade cittadine è vicina ad essere inutilizzabile. Come mezzo di trasporto una Fiat Panda è più utile, così come Federica Nargi (magari) potrebbe non essere brava a cucinare… vi interessa? Come auto per andare da A a B, per trasportare cani o persone, per trasportare un armadio dell’Ikea, o per rischiare tre anni di carcere, una Fiat Panda è di gran lunga una scelta più saggia. Ma come esperienza automobilistica e non solo, non c’è granché di meglio. Se non forse guidarne una con Federica Nargi sul sedile del passeggero. Nuda."

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categorie: auto - prove su strada e recensioni
luogo: Artimino, Toscana, Italia
testo & foto: Ale S.
foto 488 GTB di superyacht

prova su strada Ferrari 458 Italia originariamente pubblicata su Road (& Cars) al vecchio dominio (ancora visibile su alesae.wordpress.com) il 2 Febbraio 2011
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giovedì 2 luglio 2015

Bahamas. Quel Che C'è Oltre la Cartolina


Le Bahamas condividono con quasi tutto il resto delle Americhe una storia trivellata da conquiste e occupazioni. Abitate inizialmente dai Lucayan, ceppo di lingua Arawak e parte del popolo caraibico Taíno. Gli stessi Taíno che, prima di scomparire, ovviamente a causa di un sistematico genocidio, abitavano in parte anche il Guatemala, Cuba, Porto Rico e la Repubblica Dominicana. Poi, dopo Colombo, le Bahamas divennero colonia britannica nel 1718 e oggi fanno ancora parte del Commonwealth britannico. Che è un po’ come far parte di una chat su Whatsapp con tutte le ex mogli di tuo marito. Ora, al volo, senza guardare l’atlante, la capitale delle Bahamas? È Nassau. Battetevi un cinque e offritevi un caffè da soli se già lo sapevate. Offritevi anche una birra se sapete qual è la seconda città più importante delle Bahamas. È Freeport. Sono a Freeport. Freeport ha 47.000-e-qualcosa abitanti. Per darvi un’idea, sappiate che in provincia di Milano, partendo proprio dal comune di Milano, bisogna scendere fino al comune di Paderno Dugnano (appena sotto i 47.000) per trovarne uno meno popoloso di Freeport. Freeport, che in base a quel che vedo e a quel che mi è stato detto, sta a Nassau come Barcellona sta a Madrid. Come Nizza sta a Parigi. Come Marina di Bibbona sta a Roma. No, scusate. Ignorate quest’ultima. Ufficialmente, la percentuale di alfabetizzazione (nel 1995!) era del 98,2 %. Non ridete, in Spagna, Portogallo, Malta e Argentina nel 2013 era, anche se di poco, inferiore.

Alle Bahamas si parla un Inglese vicino al Creolo. Viene parlato come lo si parla nella Florida del Sud, con le vocali arroganti, le sillabe centrali abbreviate e la sillaba finale smangiucchiata. Il tutto con tono in crescendo. Quindi, chiedendo in un bar dove si trovi un determinato negozio, ad esempio, una risposta come “Go to the store out-front”, che vuol dire andate al negozio là davanti, suonerà un po’: “Go t‘ st’re ou’ fr’OAN” Immaginate un rapper di Miami o di New Orleans che ha lavorato tutta la vita in California ed è abituato a parlare con il cervello imbenzinato di alcol. Immaginate Lil Wayne, ma con una voce vagamente normale. Mentre mastica tabacco. Il primo contrasto netto sta nei colori. Freeport è un'esplosione di toni sbiaditi. Il grigio è assente, eppure non c’è nell’aria quella brillantezza e lucentezza, quel contrasto vivido che si trova in molti posti di mare come, senza fare nemmeno troppa strada, in Puglia per esempio. Freeport è un’immagine con luminosità eccessiva ma saturazione ridotta. Che contrasta molto con l’onnipresente mistura di colori. I muri sono rosa, rossi o verdi. Sbiaditi. Le palme sono verde sbiadito. Anche le auto sono colorate, raramente nere o grigie, ma spesso in giallo sbiadito o arancio o blu sbiadito. Le auto, per ovvie ragioni logistiche, vengono importate dagli Stati Uniti e quindi il volante si trova nella parte sinistra dell’auto. Ma si guida nella parte sinistra della carreggiata. Le auto. Le auto a Freeport sono un ossimoro cacofonico di inadeguatezza. Auto che non guidereste mai, e dico mai, e ripeto mai, a Firenze o Ancona o Genova o Torino. Ma nemmeno a Napoli o Brindisi o Marsala. Quel che fa impressione è il (non) criterio con cui i Bahamensi (Bahamiani? Bahamesi? Bahamini?) se ne curano. Il motore raglia e stride, le sospensioni sobbalzano e cigolano, i freni fischiano e servono più a creare suono che a fermare l’auto, la carrozzeria varia di colore ma mai di tonalità. La tonalità è sempre e comunque ruggine. Rosso-ruggine, verde-ruggine, bianco-ruggine. PERO’ i cerchi sono cromati, nuovi e lucenti. I fari non funzionano (quando va male), vanno a intermittenza (quando va bene), PERO’ il porta-targa è, avete già capito, cromato, nuovo e lucente. I sedili sono sgualciti, strappati e sporchi, PERO’ il volante è rivestito in (finto) pelo d’orso. Rosa. Di solito.

In mancanza di auto da noleggiare, prendo uno scooter. Il tipo che lavora al noleggio è aggressivo e grosso. In teoria, parla Inglese come chiunque altro qui, in pratica dice solo “no”. “Cosa copre l’assicurazione?” “No” “Quando parla di noleggio giornaliero, intende ogni 24 ore o c’è un orario limite prestabilito?” “No” Mi consegna le chiavi e salgo sullo scooter, di una marca che sono certo non sia conosciuta nemmeno nel Djibouti. Mi strattona per farmi scendere dalla sella. Mi spiega come mettere in moto. Mi ha fatto spegnere lo scooter, per potermi spiegare come metterlo in moto. “Non penso sia particolarmente difficile”, gli dico. “No”, dice lui. “E’ necessario riportare lo scooter con il pieno?” Sì. È l’unica risposta affermativa che ricevo. “Se penso che non ci sia il pieno, paghi il doppio”, mi dice il tipo. È quel –se penso- che mi preoccupa. Lui sorride. Anche senza farci particolarmente caso, si nota subito che gli mancano un canino e un molare sull’arcata superiore. Sembra un pugile trasformato in imprenditore. Mi strattona di nuovo per farmi salire nuovamente sullo scooter. Freeport, inland. L’entroterra di Freeport. Qui, il lungomare è già un ricordo. È un quadro di decadenza e teatralità. Ogni elemento sembra poggiato lì secondo copione. Strade lunghe e larghe e infinite, ma vuote. Andando verso ovest da Lucaya Beach, c’è un checkpoint militare abbandonato. I chilometri scorrono e la benzina va giù come se il serbatoio fosse bucato. E può darsi che lo sia in effetti. Non ci sono distributori in vista, e il panorama rimane uguale a se stesso. La lingua centrale di asfalto è accompagnata, a sinistra e a destra, da sterpaglia. Un groviglio di erba secca e bruciata, con pochi alberi. Tra gli arbusti c’è anche un autobus abbandonato e arrugginito.

Un vecchio autobus abbandonato a Freeport
Continuando sulla Sunrise Highway c’è l’International Bazaar.
Una fotografia di quel che accade quando un centro commerciale all’aria aperta invecchia, e invecchia male. Un fantasma allestito a festa. I colori e le decorazioni ci sono ancora, tutto il resto, vitalità e clientela, è andato perso. La maggior parte dei negozi ha l’ingresso sbarrato e persino il legno delle sbarre è consumato e marcio. Alcune bancarelle sopravvivono grazie, presumo, a preghiere, testardaggine e buona volontà dei commercianti, quasi tutti anziani, sciupati e sdentati. Adoro questo posto. C’è qualcosa di tremendamente affascinante per me nei luoghi semi abbandonati e decadenti. Acquisto un cappello che non metterò mai (e che ho dimenticato in hotel prima della partenza), e una statuina in legno intaccata a mano e ricoperta di una patina che sembra lacca. Le Bahamas sono un gruppo di oltre 700 piccole isole ma quel che ho visto qua non era quello che mi aspettavo. La cucina è spettacolare, l’oceano è freddo ma il clima è caldo quindi puoi farti il bagno anche a Febbraio. Sono essenzialmente un paradiso fiscale, quindi la fonte di sopravvivenza dell’isola è il turismo; economico, fiscale e opportunista. Ma non è un Paradiso. Forse è quel che il Paradiso diventa quando tutti prendono e pochi restituiscono. E quando nessuno se ne cura per decenni. C’è tanta umanità in questo posto, ma onestamente anche molta malinconia. C’è un’immagine forte, mi è rimasta impressa ed è tornata a casa con me. Camminando verso il parcheggio del Bazaar, dove ho parcheggiato il mio scooter, (ah, a proposito, il tipo che mi strattonava ovviamente mi avrebbe poi fatto pagare il pieno. Doppio), un uomo molto vecchio spinge, zoppicando, la propria carrozzina vuota.

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categoria: viaggio
luogo: Freeport, Bahamas (Febbraio 2013)
testo & foto: Alessandro Renesis / Ale S.
Ale S. on Twitter
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venerdì 19 giugno 2015

Jaguar F-Type

Suppongo che per quelli tra voi che parlano il russo o il giapponese o il cinese il concetto di alfabeto si estenda ben oltre la ventina di lettere che noi italiani conosciamo. Ma per la maggior parte degli europei, abituati a parlare italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e così via, l’alfabeto è una questione semplice. Basilare. Schematica. Non si scappa quindi dalla suggestiva verità che la F, nell’alfabeto, viene dopo la E. Ecco perché anche ai meno informati o interessati alla storia dell’automobilismo non sarà sfuggito che la Jaguar F-Type sembra la candidata ideale per raccogliere la pesantissima eredità della E-Type. Purtroppo, non ho mai guidato la E-Type e quindi non posso affermarlo con certezza ma ho la sensazione netta che meriti un posto accanto alla Lamborghini Miura, la Ferrari Daytona, la Riva Aquarama, il Concorde e l’Antonov 225. Ovvero un poster in camera, più che un mezzo di trasporto. La F-Type regala ogni tipo di impressione, tranne quest’ultima. Non ci sono dubbi quindi che l’ultima nata in casa del Giaguaro sia più adeguata accanto al Boeing 737, la Maserati Granturismo e il famoso “bullet train” giapponese Shinkansen. Capolavori della tecnica e dell’ingegneria, eccezionali esercizi di design, ma pur sempre mezzi di trasporto. Avevo premesso qualche settimana fa, appena dopo averla guidata, che la F-Type ha tre difetti. Scusate l’introduzione lunga e tediosa ma era necessaria per portare l’attenzione sulla prima pecca. Non è un’auto per niente pratica nell’uso quotidiano. Una spider due porte è normale che non lo sia, ma fino a un certo punto. E la Jaguar va ben oltre quel punto. Ci sono essenzialmente tre luoghi dove un’auto può e deve stare. In un museo, in una pista o in strada.

La F-Type è bellissima ma non è da museo, è veloce ma non è nata per la pista, quindi per esclusione il suo habitat è la strada e in strada servono, tanto per fare un esempio, un baule semi-quasi utilizzabile, che la F non ha. Si può ignorare il baule e si può glissare anche sulla dotazione scarsa, ma la rigidità…. La F va meglio aumentando il passo ma in città, alle basse andature soprattutto, è incredibile. In senso negativo. Basta guidare in qualunque tipo di fondo stradale che non sia asfalto liscio come una palla da biliardo, con qualunque tipo di pendenza a qualunque ritmo per rendersene conto. Spacca la schiena e sobbalza senza sosta. Dopo aver guidato per cento metri ho pensato di fermarmi per controllare la pressione degli pneumatici. Era così rigida da dare la sensazione di guidare direttamente sui cerchi. Guidare sopra una formica su questa ha lo stesso effetto che si potrebbe avere guidando sopra uno di quei tremendi dossi che si trovano nelle cittadine sul sud della Francia a 60 orari con un’auto comune Parte del problema, oltre che dalle sospensioni troppo rigide, dipende dal peso. La F-Type è costruita quasi interamente in alluminio e questo porta inevitabilmente a chiedersi quanto avrebbe potuto pesare se fosse stata costruita con altri materiali perché supera, e di molto, la tonnellata e mezzo. Troppo per essere la sportiva che vuole essere. Il peso è la chiave di tutto, rovina l’accelerazione, peggiora i consumi e rende l’auto ingombrante e più goffa in curva. Come un elefante che tenta di pattinare sul ghiaccio. Ma il più grande difetto di quest’auto, di gran lunga, è il prezzo. Ogni auto di questa categoria deve per forza di cose confrontarsi con la Porsche Boxster e la Porsche Cayman. Le due tedesche sono il punto di partenza. Chi è sul mercato in cerca di una sportiva di dimensioni medio-piccole sotto i 100.000 € (beato lui) finisce inevitabilmente alle porte di una concessionaria della casa di Stoccarda. Beh, se la Boxster parte da 50.897 euro e la Cayman da 53.075 allora la F-Type? 55.000? 60.000 forse? No, neanche lontanamente vicini. Parte da 75.850 e per quel prezzo non ci sono neppure i sedili totalmente in pelle né il bluetooth né il clima bizona né l’accensione automatica dei fari. Si pagano persino 2.200 per avere la vernice metalizzata nelle tonalità più belle, inclusa la Firesand, che secondo me è quella da scegliere. Ho speso molte parole per descrivere i difetti di quest’auto e onestamente adesso non ho idea di cosa scrivere per parlare dei pregi. Non ci sono pregi tangibili, è tutto molto emozionale. Ma come descriverli? Normalmente quando l’auto in questione è una due posti, due porte, sportiva di fascia medio-alta come questa i tester adorano scrivere e scrivere e scrivere usando paroloni e aggettivi come “epico” e “memorabile”. La tenuta di strada è “sorprendente” e la spinta è “possente”. Sorprendente rispetto a cosa? Una Fiat Punto. E anche possente credo sia un po’ inutile come aggettivo. Con 3-400 cavalli deve esserlo. E la linea? Ah, su questo argomento mi infervoro. Uno dei luoghi comuni più diffusi se leggete prove di auto di questo genere riguarda la reazione delle altre persone. I giornalisti amano scrivere che tutti si girano a guardarla. Anche dando per scontato che questo fatto sia davvero importante, e non sto dicendo che lo sia, semplicemente non è vero. Provate ad andare nel pieno centro di Times Square a New York con un megafono e gridate “BOMBA!”. Quello sì che causa una reazione. Una F-Type? Quella che un’auto del genere provoca nel 99 % dei luoghi in cui potreste guidarla in Europa si chiama studiata indifferenza. Gli altri la vedono, la vogliono, l’ammirano. Ma faranno di tutto per non farvelo notare. Perché voi la state guidando e loro no. Anche se, come nel mio caso, la F-Type non è vostra e appena conclusa la prova vi aspetta una Mazda RX8 vecchia di 7 anni che potrebbe o potrebbe non partire. Questo gli altri non lo sanno. Non sono certo che l’Europa sia, purtroppo, nel giusto contesto sociale per un’auto del genere. E anche se è veramente bellissima e il suono che esce dagli scarichi è veramente epico (scusate l’aggettivo ma avrei voluto poter effettuare riprese video per farvelo sentire, è sensazionale), la Jaguar F-Type è semplicemente anacronistica e inadatta ad essere utilizzata nel nostro paese. Ora. Soprattutto nel colore Firesand che tanto adoro. Ma qui non si testano le caratteristiche sociali dell’auto o chi la guida. Si testa l’auto. E l’auto vale ogni centesimo dei 75.000 euro che costa. Nonostante il baule adeguato per farci stare al massimo una rana. Nonostante rimbalzi con quelle sospensioni di pietra. Nonostante gli inevitabili controlli della polizia a cui dovrete abituarvi se ne guidate una. Avere una F-Type per molti versi è come avere una fidanzata mezza ubriacona, lunatica, aggressiva che vuole solo mangiare in ristoranti con conto a tre cifre. La si odia. Ma si continua a perseverare perché ha il viso di un angelo, il corpo di una supermodella e occasionalmente….



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categoria: auto - prove su strada e recensioni
luogo: Interlaken, Svizzera (Giugno 2013) - Firenze, Italia (Luglio 2013)

prima prova su strada effettuata a Interlaken (Svizzera) nel Giugno 2013, seconda prova effettuata a Firenze nel Settembre 2013. Recensione dell'auto pubblicata anche su kerbmotori.com 

testo & foto: Ale S.
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mercoledì 17 giugno 2015

BMW i3, Parte I



Dato che vivo in un paese che sta essenzialmente cadendo a pezzi e considerando che sto all’universo del giornalismo automobilistico, che in Italia è di per sé praticamente inesistente, come la Grecia sta all’Unione Europea, non ho mai guidato una Lamborghini Aventador. Non ho neppure mai guidato una Dodge Viper, né una Corvette, né una Porsche Panamera.


Ma ho guidato, tra le altre, una SLS Amg, una Jaguar F-Type, qualche Ferrari, una Gallardo e la Lotus Elise quindi non sono estraneo alle auto veloci e spettacolari. Sono anche estraneo al concetto di invidia, alcune persone sono semplicemente più fortunate di altre e negarlo è stupido. Quindi se ho la possibilità ai fini giornalistici o anche solo per diletto di guidare un’auto ben cavallata e costosa mi emoziono. Anche se so che non potrò mai possederne una. Se vedo passare una SLS sussulto. Una volta ho visto due modelle scendere da una Porsche 911 GT3 RS al 'Ring in Germania e sono quasi svenuto. Ma come ho già detto vivo in un paese che sta crollando su sé stesso e che si alimenta di invidia mentre muore di tasse.


E’ questo il motivo per cui non simpatizzo per tutti quei giornalisti che giurano di aver causato “caos” guidando auto strambe o rumorose in centri abitati. Perché non dicono la verità. E questo lo so perché nessuno, a parte me, ha minimamente degnato di uno sguardo l’Aventador grigio titanio che ho visto passare stamani mentre ero seduto a bere un caffè nel mio bar preferito a Quarrata. E lo so anche perché pochi hanno degnato di un secondo sguardo la BMW i3 che ho guidato in pieno giorno a Firenze.








La BMW i3 è bella per alcuni, meno bella secondo altri, ma senza dubbio è diversa. In mezzo al traffico costituito da nere e tristi Opel, BMW, Mercedes e Volvo dalla forma canonica, la silhouette tozza, compatta e alta di un’auto mai vista prima di un grigio/blu che definirei elettrico risalta come un cactus nel deserto. Ma nessuno sembrava vederla. Né soprattutto guardarla.


La i3, come ad esempio la RR Evoque, non ha subito sostanziali modifiche dalla concept e alla messa in commercio in serie. Raro nell'industria automobilistica. Le concept car presentate nei saloni sono di solito di forma esagonale fatte di rame e pelle di cammello con cerchi da 48 pollici e tinte di verde lime….salvo poi essere vendute da listino come l’ennesima auto a due volumi che ricorda la VW Golf disponibile in grigio, grigio scuro o grigio chiaro.


La BMW i3, prima auto completamente elettrica prodotta da BMW, è futuristica e se vogliamo avanguardista esattamente come lo era la relativa i3 concept che venne presentata per la prima volta al salone di Francoforte del 2011.


Ma la i3 non è una concept car. È un’auto prodotta in massa che chiunque può comprare, la domanda è: dovreste?


La risposta è, condensata e riassunta e filtrata, no. O meglio non ancora.


Le auto elettriche forse rappresentano il futuro, ma non per adesso. Non finché saranno tutte quante afflitte dagli stessi problemi. L’autonomia, il costo all’acquisto e i tempi di ricarica.


La piccola elettrica della casa bavarese si ferma dopo 200 km, e anche con motore termico aggiuntivo, che si può aggiungere come optional e che la renderebbe di fatto un’ibrida, non si va oltre i 300 km. Questo significa che nemmeno la classica gita domenicale al mare può essere garantita. A meno che il vostro stabilimento balneare preferito non vi consenta di attaccare la vostra auto alla presa della corrente al posto del frigo. Operazione che, visto l’alto voltaggio richiesto, provocherebbe probabilmente un black-out per l’intera riviera. E richiederebbe comunque centodiciotto ore.


È questo il vero problema, non tanto l’autonomia quanto le modalità e tempistiche di ricarica, anche con le colonnine (optional) di ricarica create appositamente per dare energia all’auto, i tempi sono sempre nell’ordine di ore, non dei minuti. Però l’auto non è un cellulare, non è comodo doverla “mettere in carica” ogni sera.


Poi c’è il prezzo. 36.200 euro prima di mettere mano al catalogo degli accessori e sono troppi. Da qualunque punto di vista la vogliate analizzare è una cifra eccessiva per una piccola utilitaria. Perché la i3 a conti fatti questo è: una piccola utilitaria.


Ma onestamente non me ne importa un accidente dei 36.200 euro. Né dello 0-100 in 7,2 secondi. Né del tempo di ricarica. Né della dotazione di serie. Né del peso a vuoto 1,195 kg. Né della qualità delle plastiche interne o dei materiali riciclati o di quanto sia “green” quest’auto.


Mi importa di Charlotte.


Non sono sicuro che valga la pena di spendere 36.200 su un’auto, qualunque essa sia, quando tra gli annunci degli usati si trovano tonnellate di MINI Cooper S, che realisticamente è un’auto che vi fornisce quasi tutto quello che vi serve, a meno di 10.000 €. Ma ho deciso di scrivere di auto per guadagnarmi una scusa per guidare un’auto elettrica per cui nessun proprietario ha ancora ricevuto le chiavi in una delle mie città preferite con una bionda di nome Charlotte sul sedile del passeggero.


Quindi su queste basi la BMW i3 è la mia nuova auto preferita.





Bmw i3








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*auto - prove su strada e recensioni*
prova su strada effettuata a Gennaio 2014,
testo & foto: Ale S.
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sabato 13 giugno 2015

Transfăgărăşan

Nicolae Ceauşescu era un pazzo. Nella storia si sono susseguiti svariati dittatori totalitaristi che hanno piegato popoli e preso molte vite, in diversi paesi del mondo. La Cambogia ha avuto Pol Pot, la Russia Lenin e Stalin, la Cina Mao Tse Tung, la Jugoslavia Tito, senza considerare i più famosi dittatori europei che non hanno nemmeno bisogno di essere nominati e la lista continua con molti nomi e molte vittime. Ma fra tutti questi Nicolae Ceauşescu ha la fama di essere stato uno dei peggiori. Per darvi un’idea della sua pazzia vi racconto che leggende metropolitane dicono che esigesse le foglie colorate di verde ovunque andava. Leggende metropolitane, appunto. Probabilmente infondate e false, ma immaginate un soggetto di cui si dicono queste cose, dategli in mano un paese e immaginatevi una dittatura sotto il suo comando. Non un bello scenario, vero?
150 serpentine, 27 viadotti, 6 tunnel e 275.000 tonnellate d’asfalto
E’ un gran peccato però dover ammettere che è merito suo se oggi chiunque può prendere la propria auto, o noleggiarla, e guidare in una delle strade più belle del mondo: la Transfăgărăşan. Ceauşescu ne ha ordinato e voluto la costruzione. 150 serpentine, 27 viadotti, 6 tunnel (tra cui il più lungo del paese, non illuminato, di 884 metri), 275.000 tonnellate d’asfalto, il tutto costruito con l’ausilio di 6250 tonnellate di esplosivo, necessario per la costruzione nei punti dove le rocce erano più dure. Ben 40 vite sono state perse nei lavori per questa strada. Vista dall’alto è magnifica. Immersa nel verde, piena di tornanti, curve e controcurve, sempre con visibilità ottimale tra l’una e le altre. La strada taglia in due la montagna, costeggiando torrenti d’acqua e rocce arrivando fino a un’altitudine massima di 2.034 metri sopra il livello del mare. Dove si trova questa meraviglia? Alpi Svizzere? Appenino Italiano, forse? Foresta nera o Austria, magari? Forse campagna e montagne francesi? No. Si trova in Romania.

La Transfăgărăşan collega le regioni storiche di Valacchia e Transilvania, partendo da Pitesti e arrivando fino a Sibiu. E’ lunga circa 90 km e nel percorso si trovano svariati rifugi/hotel dove passare la notte. Vi conviene farci una sosta se andate, perché di sera fa un freddo cane. E vi conviene fermarvi prima delle 9 e mezzo, perché a quell’ora le cucine nei rifugi chiudono. Questo lo so perché quando siamo arrivati al nostro rifugio, alle 9 e pochi minuti, pronti per la cena, ci hanno detto che la cucina era chiusa e di provare il ristorante a pochi passi dall’albergo. Lì abbiamo potuto gustare una nutriente e completa cena a base di salatini, pezzi di torta e birra. Non male. A questo punto vorrei parlarvi di com’è guidare in questa strada da un punto di vista dinamico, vorrei esaltarmi raccontandovi di come sia incredibilmente facile e divertente affrontare i tornanti in 2° o 3° marcia in derapata per poi accelerare a fondo e staccare appena prima della prossima curva. Vorrei decantare le lodi del suono di un possente V8 che risuona nella valle, dirvi quanto sia eccitante dare gas in fondo in uno dei 6 tunnel e sentire il rombo del motore. Vorrei ma non posso farlo. Perché questa strada per essere apprezzata a fondo richiede un’auto di un certo tipo e in Romania le opzioni tra le auto disponibili a noleggio scarseggiano. Si tratta più che altro di Dacia e vecchie Renault, e quindi beh, avevo una Dacia Duster. Sì, ha la trazione su tutte le ruote il che fa sempre piacere in curva, ma la lista dei pregi finisce lì. E’ più scomoda di un letto fatto di pietre, i freni hanno la stessa grinta di un castoro, tiene la strada come un divano, è appena meno potente del Belgio e veloce appena un po’ di più rispetto a un elefante. In un mondo perfetto l’auto ideale potrebbe essere una non per forza tecnicamente perfetta ma con tanta coppia e la trazione posteriore per divertirsi. Diciamo una Mercedes SLS AMG che con 650 nm di coppia promette di farvi passare la maggior parte del tempo di traverso. Oppure, durante il periodo estivo in cui il tempo è mite e soleggiato, una Aston Martin DBS Volante o Mercedes SL 63 AMG, per godervi le curve a cielo aperto. Il mondo reale però purtroppo offre una scelta ben più limitata. Partire da casa vostra personalmente non la trovo una grande idea. Molti chilometri attraverso molti paesi dove fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Noleggiare l’auto sul luogo è la soluzione ideale, ma a meno che non disponiate di circa 630 euro al giorno per noleggiare una Ferrari 360 Modena a Bucarest, e ne dubito, la scelta migliore rimane quella di andare sul semplice ma efficace. Gli autonoleggi di Bucarest offrono a prezzi competitivi (100 euro al giorno) una Mazda MX-5, auto che io considero una tra migliori al mondo, perché offre tanto in cambio di pochissimo. In questo modo potrete spassarvela un po’. Non preoccupatevi dei pieni di benzina perché è molto economica da quelle parti.

La Duster non mi ha permesso di divertirmi poi più di tanto, ma è stata comunque sufficiente per capire le potenzialità di questa strada. Vista dall’alto è magnifica. Incredibilmente fluida, panoramica, curve su curve, lunghi dirizzoni e serpentine. Come se ogni curva dei migliori circuiti del mondo fosse stata messa insieme per creare 90 chilometri di asfaltata perfezione. E come ha detto Jeremy Clarkson dopo aver percorso questa strada: “Romania, thanks for having us. And can we stay? Forever…”




testo & foto di Ale S.
Transfăgărăşan, Romania, Settembre 2010
Prova pubblicata per la prima volta nell' Ottobre 2010

giovedì 11 giugno 2015

Lexus LFA a Monaco. La migliore auto che abbia mai guidato.

Normalmente sono abbastanza categorico. Ho la capacità di cambiare idea ma ne ho, generalmente, solo una per oggetto o luogo o usanza o pensiero. Non esito e raramente ho dubbi. Esempio: Sì, mi piacciono sempre le birre artigianali. No, detesto bere con la cannuccia. Non ho opinioni contrastanti riguardo a Las Vegas o Londra o Firenze o Verona o Kaunas. Le adoro. Senza nessun “anche se”. Non ho opinioni contrastanti nemmeno riguardo a Madrid e Quarrata. Le detesto. Ecco, uno dei pochi luoghi al mondo riguardo al quale ho due opinioni contrastanti è Monaco. Da un lato è un paradiso fiscale pieno di criminali di alto rango che hanno bisogno di un posto dove iniettare e riciclare milioni, arabi con molti molti molti più danari che gusto e ragazzotti playboy da due soldi che si alzano la mattina nella loro alcova, salgono sulla loro auto da 150.000 euro che hanno comprato con soldi che avrebbero dovuto spendere in tasse, e fanno le “vasche” avanti e indietro intorno al casinò per farsi vedere e fotografare. Che senso ha? D’altro canto è anche vero che si tratta di un piccolo pezzo di paradiso accovacciato sul mare che gode di 300 giorni di sole ogni anno, zero furti, zero vandalismo, prezzi non così alti come si potrebbe pensare e soprattutto una costante e meravigliosa pletora di supercar e superfighe. Tralasciando la seconda delle due “S” voglio concentrarmi sulle supercar. Se siete malati mentali di automobili come me, Monaco è la vostra Mecca. Il vostro Anfield. Il vostro Wimbledon. Il vostro settimo cielo. Venite qua e prendete un caffè o una birra o un tè caldo o un gelato seduti al Cafè de Paris. Vi garantisco al quattromila percento che in una qualunque ora di un qualunque giorno di una qualunque stagione dell’anno vedrete passare almeno una Ferrari ogni sette minuti.

Promenade, Monaco
È molto difficile farsi notare a Monaco. Ogni giorno decine e decine di rampolli figli di sceicchi che controllano dodici o tredici compagnie aeree vengono qua per mettere in mostra la loro Bugatti Veyron. Non dimenticate che questa è una pseudo-nazione che è stata messa sulla mappa, metaforicamente e letteralmente, da un matrimonio (Grace Kelly e il Principe Ranieri), un gran premio di Formula 1 (statisticamente il 50 % dei piloti che prendono parte alla stagione ogni anno risiede a Monaco) e dalla totale assenza di tasse sul reddito. Nient’altro. Qui non c’è mai stato un Rinascimento o una rivoluzione. Se avete letto la prova della F-Type sapete bene quanto poco conta per me (e quanto credo sia sopravvalutato) l’impatto “eclatante” che un’auto iper-cavallata ha sui passanti. Ecco perché dovete credermi se vi dico che è praticamente impossibile muoversi a Monaco se state guidando una LFA. Perché verrete letteralmente ricoperti di persone. Sto per diventare molto telematico e clinico quindi se siete fra quelli che amano l’ironia e mal tollerano la serietà vi consiglio di smettere di leggere. E mi sento in dovere di avvertirvi, cari lettori, che quello che sto per scrivere potrebbe non essere né conciso né coeso né coerente né sensato né pacato né bilanciato. La Lexus LFA è la migliore auto che abbia mai guidato. Cambia e stravolge totalmente tutto quello che io abbia mai scritto, pensato e detto sul mondo delle automobili. È sensazionale. La gestazione stessa dell’auto ha dell’incredibile. Presentata come concept per la prima volta nel 2005, all’ultimo secondo prima di mandarla in produzione hanno deciso di rifarla completamente da capo cambiando la scocca da alluminio a fibra di carbonio. Provate a immaginare il costo pantagruelico di una decisione simile, Lexus dichiara (sì, esatto, dichiara) di aver generato una perdita da ogni singola auto venduta. A 375.000 € al pezzo. L’hanno fatta girare infinite volte al Nürburgring finché l’auto non è diventata, a tutti gli effetti, perfetta. Non necessariamente per le prestazioni ma certamente per la guidabilità e l’impatto emotivo che ha sul pilota. Al contrario di quasi tutte le supercar in circolazione non ha neppure un cambio a doppia frizione, il cambio è a frizione singola perché il guidatore possa sentire la cambiata. Ha un V10 da 4,8 litri che sviluppa 560 cavalli e grida fino quasi ai 10.000 giri. Alla Lexus sono stati costretti a montare un contagiri digitale perché quello classico non sarebbe stato in grado di stare al passo del motore stesso salendo di giri.
Ero un po' teso...
L’auto è viva, è brusca, è impetuosa. Il termine “immediato” è stato inventato per definire la risposta alla pressione dell’acceleratore della LFA. In modalità sport sopra i settemila giri l’auto ha una progressione infinita e spaventosa. Scuote il cemento dell’asfalto e dei tunnel autostradali dove l’ho un po’ strapazzata. Lasciate un attimo da parte l’effetto “che-cos’è-quella-cosa-facciamo-una-foto”, come auto, puramente come mezzo di guida quindi, è eccezionale. Non ha importanza quante foto vi faranno mentre la parcheggiate perché è nella guida la vera soddisfazione. È il genere di macchina che vi spinge a percorrere quattrocento chilometri senza mai fermarvi, arrivare, girarvi e tornare indietro solo per continuare a guidare. Il guaio è che difficilmente potrete comprarne una. Prima di tutto perché ne sono state prodotte solo 500 e solo poco più di 80 si trovano in Europa. E poi perché il prezzo medio di una LFA di “seconda mano” è di circa 400.000 €. Non disperate però. La Nissan GTR vale il 90 % di quest’auto e costa cinque o sei volte di meno.

Difetti? Sì, molti. Il serbatoio è piccolo e quindi, anche con una guida accorta, si è costretti a continui rifornimenti di carburante, la cintura di sicurezza è posizionata in maniera idiotica e 400.000 € sono veramente troppi per quella che è a tutti gli effetti una Toyota, soprattutto considerando che esiste la GTR per, come appunto dicevamo, un quinto del prezzo della LFA. Onestamente non so che senso abbia avuto per la Lexus produrre una supercar che ha richiesto un investimento così alto, sia a livello finanziario che di tempistica, dichiaratamente a fondo perduto. L’unica motivazione ragionevole e logica potrebbe essere la volontà da parte della casa giapponese di mettere il proprio nome sulla mappa mondiale dei produttori di auto performanti per aprirsi la strada, guadagnandone sia in credibilità sia in potenziali vendite, per un futuro orientato alla produzione di auto sportive in serie, non esattamente l’attuale specialità in casa Lexus. Certo è che la LFA si inserisce di prepotenza negli annali dell’automobilismo. Seguendo il credo secondo il quale le supercar debbano trovarsi a proprio agio come poster sul muro del ragazzino con gli occhi sognanti prima che in strada, la LFA ha le potenzialità per diventare un’icona più che un’auto, al pari della foto della tennista bionda che si gratta il sedere. Temo di non possedere la capacità di sintesi necessaria per concludere questa prova senza cadere nel banale o senza occupare altri KB di spazio elettronico, quindi mettiamola così. La Lexus LFA è fantastica. PUNTO.


la nostra prova in inglese su leavemeflabbergasted.com

abbiamo pubblicato la prova su strada anche su Kerb Motori e leavemeflabbergasted.com

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guidata a Monaco, Aprile 2014
categoria: auto - prove su strada e recensioni
luogo: Principato di Monaco, Monaco (Aprile 2014)
testo & foto: Ale S.
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mercoledì 10 giugno 2015

Europa dell'Est: 7,000 Chilometri. Undici Nazioni. Dodici Giorni

László è nato a Tallinn da madre russa e padre ungherese. E’ alto 1 metro e 70 al massimo e nonostante indossi l’uniforme da barista/portiere di un hotel di lusso si vede la struttura fisica tipica di quelle persone a cui non andresti a dire “sei scemo”. E’ gentile e sorride sempre ma sotto la coltre fatta di modi concilianti e accoglienti si percepisce la freddezza. Sarà la postura. Sarà il grido rauco e profondo capace di incrinare una roccia che ci ha indirizzato quando, pochi minuti prima, eravamo in strada e stavamo, inconsciamente, per entrare in un vicolo dove evidentemente non si può. László sembra duro come il titanio. Buona memoria, capacità di osservare e intuito sono grandi doti. Mi vanto di averne almeno un po’, le metto tutte e tre insieme ed entro quattro minuti dall’inizio della conversazione raccolgo la faccia tosta e il coraggio per quanto posso, e certamente i due Vana Tallinn che ho bevuto aiutano, e gli faccio la domanda che mi balena in testa dall’istante in cui si è presentato. -Sei una specie di poliziotto o ex-militare, vero? Mi aspetto un pugno nello stomaco. Mi aspetto un colpo secco alla trachea di quelli che ti fermano il respiro come nei film. Mi aspetto una testata. Ricevo un “sì”. “Forze speciali” precisa László. Butto giù un altro Vana Tallinn e rifletto sul fatto che per la prima volta nella mia vita ho stretto la mano ad una persona che probabilmente ha ucciso qualcuno. Sempre che la storia delle forze speciali sia vera. Non è che abbia tempo di pensarci perché László nel frattempo ci serve il quarto Vana Tallinn, forse quinto, della serata. Vana Tallinn (in estone Vana significa vecchia, antica) è un liquore tipico di, l’avete indovinato, Tallinn. È simile al Cointreau, se proprio dobbiamo trovare un paragone, ma più alcolico e leggermente meno dolciastro.

László ci chiede da dove veniamo e pare seriamente impressionato, positivamente s’intende, quando gli diciamo che siamo venuti dall’Italia in auto. Ci sono due argomenti che mi sento di dover affrontare con un ex agente delle forze speciali mentre lui mi serve da bere e io bevo. Uno. Le donne. Due. La lingua russa e l’eredità lasciata dall’Unione Sovietica. László sa dove voglio andare a parare. Pensate di aver visto donne belle in vita vostra? È niente paragonato a quelle che si trovano nelle tre repubbliche baltiche, Lituania, Lettonia e Estonia. A circa 200 km a est di Tallinn esiste una città chiamata Narva. A Narva esiste un fiume dello stesso nome che nasce dal lago Peipus e sfocia nel Mar Baltico. Il fiume Narva è attraversato da un ponte. Dall’altra parte del ponte siete in Russia. Narva è universalmente considerata la città con la maggiore “produzione”, consentitemi il termine, di belle donne al mondo. Mi dice László. La questione dell’influenza dell’Unione Sovietica, invece… László ripete di sentirsi molto più russo che europeo, mentre ci serve un Vana Tallinn e sostiene, fisicamente, un suo collega ubriaco che nel frattempo sta continuando a bere e non si regge in piedi. Dopo lo smembramento dell’U.R.S.S. le tre piccole repubbliche baltiche sono rimaste dimenticate in un limbo, ignorate un po’ da tutti. Adesso si stanno lentamente europeizzando. Le vecchie generazioni parlano russo ma i giovani studiano inglese e spesso dimenticano quel poco di russo che i nonni tentano di insegnar loro. Tallinn mi ricorda tantissimo Innsbruck, Bregenz e anche Monaco di Baviera. L’aria che si respira è decisamente europea. Complice, presumo, il grande afflusso di turisti occidentali (italiani onnipresenti nelle strade del centro storico) che si fermano qua come tappa obbligatoria delle crociere che passano da queste parti. L’Estonia è certamente la più famosa o per meglio dire l’unica delle tre nota ai più. E scommetto che molti di noi, mappamondo senza nomi scritti sopra alla mano, non saprebbero dire quale dei tre piccoli staterelli sia l’Estonia.

Tallinn, Estonia


Avevamo programmato questo viaggio mettendo un mirino simbolico su Tallinn come punto più a nord raggiungibile in Europa via terra, senza entrare in Russia. Avevamo considerato Praga e Varsavia come tappe fondamentali. La cavalcata autostradale verso l’Italia attraverso Svezia, Danimarca e Germania come affascinante alternativa al percorrere le stesse strade dell’andata in senso opposto. Avevo sognato nella mia testa un diario giornaliero da trasformare in articolo una volta tornato. E da nessuna parte nei mesi di progettazione e di itinerari e programmi e mappe e prenotazione di hotel e consultazione di guide turistiche avevo considerato László. E soprattutto in nessun modo avrei potuto immaginare che, oltre alla crociera di 17 ore sul mare di Finlandia da Tallinn a Stoccolma, i luoghi in assoluto più interessanti non li avremmo trovati nell’inflazionata Praga o nella sempre più moderna Varsavia o nei tanti ammirati paesi Scandinavi, ma in Lituania e Lettonia.

Riga, Lettonia


La Lettonia è conosciuta nella nostra parte d’Europa per due cose. La bellezza delle donne, ovviamente, e i tir che puntualmente affollano le nostre autostrade trasportando latte o mucche o armi nucleari o qualunque cosa sia importabile dalla Lettonia. Eh già. Avete presente il tir targato LV che la scorsa settimana in autostrada vi ha tagliato la strada per superare, facendo i 75 chilometri orari, un altro tir targato sempre LV che faceva i 74 chilometri orari? Esatto. Ma la Lituania?! Potreste tagliare in due il mondo da nord a sud e da est a ovest. Visitare le metropoli più cosmopolite e i paradisi fiscali più prominenti nella lista nera, la Black List. Potreste andare in USA, Canada, Cina, Russia, Africa e visitare ogni singola capitale europea dell’ovest senza incontrare una persona di nazionalità Lituana, a meno che non andiate davvero in Lituania. E dovreste perché Kaunas è una gemma nascosta in mezzo all’Europa. Se siete fra quelli che amano le statistiche, i fatti e i trivia; posso snocciolarvi due info così su due piedi riguardo alla repubblica baltica dalla bandiera gialla, verde e rossa. Iniziamo col dire che la nazionale lituana di basket è tra le più forti d’Europa e quarta nel ranking mondiale (dopo U.S.A., Spagna e Argentina) e che il suo giocatore più rappresentativo Šarūnas Jasikevičius gode di tutta la mia stima per essere stato sposato con la modella israeliana Linor Abargil. Sapete cos’è il ease of doing business index? È un indice, o classifica per chiamarla come quello che è. È stata creata dalla World Bank e prende in esame vari fattori in 189 paesi in tutto il mondo. 9.600 tra ufficiali governativi, avvocati, consulenti finanziari e professionisti della contabilità stilano la classifica in base a quanto sia semplice in ogni determinato paese aprire e gestire un’attività. Vengono considerate tasse, burocrazia, semplicità nell’ottenimento di credito, permessi edilizi e installazioni di linee di gas e luce e acqua, trasparenza e in generale rapidità nello sbrigare la burocrazia. Le cartacce iniziali per intenderci. La Lituania occupa il 17° posto. Troviamo la nostra Italia, giusto per fare un paragone, solo al 65° posto preceduta, tra gli altri, da Samoa, Bulgaria, Botswana, Rwanda, Macedonia e Bahrain. Kaunas è una città con 378.000 abitanti ed è il centro industriale e commerciale della Lituania. E si vede. Le stradine del vecchio centro storico sono costellate di negozi e bar e lituane bionde. Il patrimonio culturale e artistico non ha niente da invidiare ai migliori borghi italiani. La chiesa di San Francesco Saverio ad esempio, anche se è stata ovviamente più volte ristrutturata negli anni, è datata 1666. Ironico, se ci pensate. Una chiesa la cui costruzione inizia in un anno che finisce con 666. Ho paura di dover contraddire il mio nuovo amico László, anche se so che se fosse qui mi colpirebbe con una mossa letale di Krav Maga o qualcosa del genere, ma non sono state le donne di Tallinn né Kaunas ad aver maggiormente lasciato un segno nel nostro viaggio. Né l’appartamento di Praga dove con i miei compagni di viaggio abbiamo inventato Passport-Pingpong (ping pong utilizzando il passaporto aperto alla pagina della foto come racchetta). Né Varsavia che è stata resa particolarmente mistica e bella dalla pioggia fina (e a tratti fitta) che cadeva. Neanche la crociera, per quanto divertente con la discoteca sul ponte della nave. Né Stoccolma. Né Copenhagen. Malmö, conosciuta principalmente come città natale di Ibrahimovic e principale porto svedese e collegamento con la Danimarca. Neppure il tunnel stradale subacqueo che collega Svezia e Danimarca. Neppure Friburgo. Tutto bello. Emozionante. Intenso. Divertente. Epico. Memorabile.




Non è stata neppure la Renault Mégane Coupé bianca. La media sportiva (segmento C) della casa francese si è rilevata elastica e adattabile. Adeguata in ogni situazione nonostante il suo piccolo 1,5 litri diesel da 110 cavalli, ha affrontato bene le Autobahn tedesche così come le strade terribili e spaccate che portano dalla Polonia alla Lituania. E’ comoda, parca nei consumi e nonostante sia un progetto datato ormai 2008 è invecchiata benissimo. La nostra fedele compagna di viaggio si è comportata egregiamente ma non è ciò che mi è rimasto più impresso. È stato il Nürburgring. E al Nürburgring, l’inferno verde, sono successe alcune cose. Nella Nordschleife, la parte del ‘Ring chiusa alla F1 da anni e adibita a uso pubblico (con pagamento di biglietto) sono successe alcune cose. Sul rinomato circuito automobilistico abbiamo girato con una VW Polo GTI, una Suzuki Swift Sport e con la nostra Renault Mégane Coupé. Una Honda S2000 targata Varese ha affrontato una curva in drift sfiorando di 20 centimetri il nostro paraurti. E al parcheggio della biglietteria due iper-modelle tedesche, una bionda e una mora, vestite a festa e col tacco, sono emerse dall’abitacolo corsaiolo di una Porsche 911 GT3 RS. Ecco, questo sì. Son cose che ti segnano.





Rohuneeme, Estonia

testo & foto di Ale S.
il viaggio risale all'Agosto 2013
circa 7.000 km, 10 nazioni toccate (Italia, Austria, Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Svezia, Danimarca, Svizzera) in 12 giorni

Pezzo pubblicato su Kerb Motori (rivista cartacea) 
e UB - Universebooking.com (in Lingua Inglese) 6K miles, 8 Countries in 12 days