giovedì 23 luglio 2015

#throwbackthursday. Ferrari 458 Italia

Ferrari.
Solo dirlo gonfia i petti, drizza le schiene. Ferrari è uno dei più grandi marchi al mondo. Riconoscibile ovunque e desiderato da tutti. Ferrari è un punto d'arrivo.
Si dice che la Universal avesse tentato di includere La Ferrari LaFerrari in Fast and Furious 7. Non c'è riuscita. Qualunque altra casa automobilistica farebbe carte false per apparire in un franchise di questo livello ma con la casa del Cavallino la situazione è l'esatto opposto.



Ferrari ha da poco messo sul mercato (Febbraio 2015) la nuova 488 GTB che rispetto alla precedente 458 monta un eretico 3,9 litri V8 con doppio turbo, tanti saluti al motore aspirato tanto caro ai puristi. Per celebrare la "nuova" arrivata, ecco la prova della 458 nel 2011.

"Da un punto di vista pragmatico la 458 non è granché. Non ha un bagagliaio utilizzabile, non ha i sedili posteriori, l’abitacolo è angusto, è troppo bassa, troppo larga, troppo lunga, troppo ingombrante, ha una radio, che non si può ascoltare per il rumore del motore, ha il climatizzatore, che non serve a niente perché tanto l’abitacolo conosce solo una temperatura: bollente.
Visto che il motore è esattamente dietro le spalle e scalda parecchio. Parliamo poi del volante. L’ormai già celeberrimo volante della 458 Italia racchiude tutti i comandi dell’auto, e intendo proprio tutti. Tergicristalli, frecce, etc..tutto sul volante. Questo significa che se per caso state girando a destra e volete mettere la freccia a destra dovrete in realtà premere il pulsante che è sulla sinistra del volante, che è girato verso destra, ma dovrete premerlo con la vostra mano sinistra. Per andare a destra. Aggiungiamo pure il prezzo, 197.000 euro. E la potenza. Oh beh certo la 458 Italia ha ben 570 cavalli, ma perché mai questo dovrebbe essere rilevante? Ci sono auto molto più potenti a prezzi più contenuti. Come la Mercedes SLS AMG per esempio, che costa circa 15.000 euro meno della 458 Italia ed è molto più potente. La SLS ha ben 571 cavalli. Addirittura UNO in più rispetto all’Italia. Ah, e non dimentichiamo che la 458 tende a prendere fuoco.
Dicono ci sia qualche problema con un qualche tipo di colla che serve per fissare qualche cosa da qualche parte sull’auto. Che c'è da dire? Parlare di auto fantastiche può essere noioso. Della 458 Italia è stato detto che è bella. Ma dai? E’ veloce. Ma davvero? E’ precisa in curva? No?!!! Seriamente? E soprattutto che è emozionante. Ma pensa!?! Avrei giurato fosse come guidare una Kia Rio. Onestamente scrivere che la 458 è una gran macchina è inutile come scrivere che Jessica Alba è una bella donna. O come scrivere che Tara Palmer-Tomkinson ha qualche vizietto di troppo. Beh, ok, l’ultimo esempio è sbagliato.
Tara Palmer-Tomkinson, detta TPT, è una di quelle che wikipedia definisce “socialite” ovvero personalità pubbliche con un ruolo non meglio precisato. Dicono si sia dovuta rifare il naso più volte perché aveva il gomito del tennista…al naso. Vedete? Parlare di auto di questo genere è come parlare di Elisabetta Canalis, si divaga. Magari ci si impegna per dire qualcosa di costruttivo e si finisce sempre a parlare del suo sedere. O del suo seno. Che più o meno è lo stesso che si può dire sulla 458. Clarkson dice che è la prima Ferrari veramente bella dai tempi della F40. Dice che è divina da guidare. Io dico che è molto elettronica. Ha reazioni estremamente controllate ma che fanno pensare che sia l’auto ad andare da sola e non voi bravi a guidarla. Sì, beh il volante è confuso, l’abitacolo è quasi invivibile per via del motore (e del calore del motore), costa cara e nelle strade cittadine è vicina ad essere inutilizzabile. Come mezzo di trasporto una Fiat Panda è più utile, così come Federica Nargi (magari) potrebbe non essere brava a cucinare… vi interessa? Come auto per andare da A a B, per trasportare cani o persone, per trasportare un armadio dell’Ikea, o per rischiare tre anni di carcere, una Fiat Panda è di gran lunga una scelta più saggia. Ma come esperienza automobilistica e non solo, non c’è granché di meglio. Se non forse guidarne una con Federica Nargi sul sedile del passeggero. Nuda."

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categorie: auto - prove su strada e recensioni
luogo: Artimino, Toscana, Italia
testo & foto: Ale S.
foto 488 GTB di superyacht

prova su strada Ferrari 458 Italia originariamente pubblicata su Road (& Cars) al vecchio dominio (ancora visibile su alesae.wordpress.com) il 2 Febbraio 2011
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giovedì 2 luglio 2015

Bahamas. Quel Che C'è Oltre la Cartolina


Le Bahamas condividono con quasi tutto il resto delle Americhe una storia trivellata da conquiste e occupazioni. Abitate inizialmente dai Lucayan, ceppo di lingua Arawak e parte del popolo caraibico Taíno. Gli stessi Taíno che, prima di scomparire, ovviamente a causa di un sistematico genocidio, abitavano in parte anche il Guatemala, Cuba, Porto Rico e la Repubblica Dominicana. Poi, dopo Colombo, le Bahamas divennero colonia britannica nel 1718 e oggi fanno ancora parte del Commonwealth britannico. Che è un po’ come far parte di una chat su Whatsapp con tutte le ex mogli di tuo marito. Ora, al volo, senza guardare l’atlante, la capitale delle Bahamas? È Nassau. Battetevi un cinque e offritevi un caffè da soli se già lo sapevate. Offritevi anche una birra se sapete qual è la seconda città più importante delle Bahamas. È Freeport. Sono a Freeport. Freeport ha 47.000-e-qualcosa abitanti. Per darvi un’idea, sappiate che in provincia di Milano, partendo proprio dal comune di Milano, bisogna scendere fino al comune di Paderno Dugnano (appena sotto i 47.000) per trovarne uno meno popoloso di Freeport. Freeport, che in base a quel che vedo e a quel che mi è stato detto, sta a Nassau come Barcellona sta a Madrid. Come Nizza sta a Parigi. Come Marina di Bibbona sta a Roma. No, scusate. Ignorate quest’ultima. Ufficialmente, la percentuale di alfabetizzazione (nel 1995!) era del 98,2 %. Non ridete, in Spagna, Portogallo, Malta e Argentina nel 2013 era, anche se di poco, inferiore.

Alle Bahamas si parla un Inglese vicino al Creolo. Viene parlato come lo si parla nella Florida del Sud, con le vocali arroganti, le sillabe centrali abbreviate e la sillaba finale smangiucchiata. Il tutto con tono in crescendo. Quindi, chiedendo in un bar dove si trovi un determinato negozio, ad esempio, una risposta come “Go to the store out-front”, che vuol dire andate al negozio là davanti, suonerà un po’: “Go t‘ st’re ou’ fr’OAN” Immaginate un rapper di Miami o di New Orleans che ha lavorato tutta la vita in California ed è abituato a parlare con il cervello imbenzinato di alcol. Immaginate Lil Wayne, ma con una voce vagamente normale. Mentre mastica tabacco. Il primo contrasto netto sta nei colori. Freeport è un'esplosione di toni sbiaditi. Il grigio è assente, eppure non c’è nell’aria quella brillantezza e lucentezza, quel contrasto vivido che si trova in molti posti di mare come, senza fare nemmeno troppa strada, in Puglia per esempio. Freeport è un’immagine con luminosità eccessiva ma saturazione ridotta. Che contrasta molto con l’onnipresente mistura di colori. I muri sono rosa, rossi o verdi. Sbiaditi. Le palme sono verde sbiadito. Anche le auto sono colorate, raramente nere o grigie, ma spesso in giallo sbiadito o arancio o blu sbiadito. Le auto, per ovvie ragioni logistiche, vengono importate dagli Stati Uniti e quindi il volante si trova nella parte sinistra dell’auto. Ma si guida nella parte sinistra della carreggiata. Le auto. Le auto a Freeport sono un ossimoro cacofonico di inadeguatezza. Auto che non guidereste mai, e dico mai, e ripeto mai, a Firenze o Ancona o Genova o Torino. Ma nemmeno a Napoli o Brindisi o Marsala. Quel che fa impressione è il (non) criterio con cui i Bahamensi (Bahamiani? Bahamesi? Bahamini?) se ne curano. Il motore raglia e stride, le sospensioni sobbalzano e cigolano, i freni fischiano e servono più a creare suono che a fermare l’auto, la carrozzeria varia di colore ma mai di tonalità. La tonalità è sempre e comunque ruggine. Rosso-ruggine, verde-ruggine, bianco-ruggine. PERO’ i cerchi sono cromati, nuovi e lucenti. I fari non funzionano (quando va male), vanno a intermittenza (quando va bene), PERO’ il porta-targa è, avete già capito, cromato, nuovo e lucente. I sedili sono sgualciti, strappati e sporchi, PERO’ il volante è rivestito in (finto) pelo d’orso. Rosa. Di solito.

In mancanza di auto da noleggiare, prendo uno scooter. Il tipo che lavora al noleggio è aggressivo e grosso. In teoria, parla Inglese come chiunque altro qui, in pratica dice solo “no”. “Cosa copre l’assicurazione?” “No” “Quando parla di noleggio giornaliero, intende ogni 24 ore o c’è un orario limite prestabilito?” “No” Mi consegna le chiavi e salgo sullo scooter, di una marca che sono certo non sia conosciuta nemmeno nel Djibouti. Mi strattona per farmi scendere dalla sella. Mi spiega come mettere in moto. Mi ha fatto spegnere lo scooter, per potermi spiegare come metterlo in moto. “Non penso sia particolarmente difficile”, gli dico. “No”, dice lui. “E’ necessario riportare lo scooter con il pieno?” Sì. È l’unica risposta affermativa che ricevo. “Se penso che non ci sia il pieno, paghi il doppio”, mi dice il tipo. È quel –se penso- che mi preoccupa. Lui sorride. Anche senza farci particolarmente caso, si nota subito che gli mancano un canino e un molare sull’arcata superiore. Sembra un pugile trasformato in imprenditore. Mi strattona di nuovo per farmi salire nuovamente sullo scooter. Freeport, inland. L’entroterra di Freeport. Qui, il lungomare è già un ricordo. È un quadro di decadenza e teatralità. Ogni elemento sembra poggiato lì secondo copione. Strade lunghe e larghe e infinite, ma vuote. Andando verso ovest da Lucaya Beach, c’è un checkpoint militare abbandonato. I chilometri scorrono e la benzina va giù come se il serbatoio fosse bucato. E può darsi che lo sia in effetti. Non ci sono distributori in vista, e il panorama rimane uguale a se stesso. La lingua centrale di asfalto è accompagnata, a sinistra e a destra, da sterpaglia. Un groviglio di erba secca e bruciata, con pochi alberi. Tra gli arbusti c’è anche un autobus abbandonato e arrugginito.

Un vecchio autobus abbandonato a Freeport
Continuando sulla Sunrise Highway c’è l’International Bazaar.
Una fotografia di quel che accade quando un centro commerciale all’aria aperta invecchia, e invecchia male. Un fantasma allestito a festa. I colori e le decorazioni ci sono ancora, tutto il resto, vitalità e clientela, è andato perso. La maggior parte dei negozi ha l’ingresso sbarrato e persino il legno delle sbarre è consumato e marcio. Alcune bancarelle sopravvivono grazie, presumo, a preghiere, testardaggine e buona volontà dei commercianti, quasi tutti anziani, sciupati e sdentati. Adoro questo posto. C’è qualcosa di tremendamente affascinante per me nei luoghi semi abbandonati e decadenti. Acquisto un cappello che non metterò mai (e che ho dimenticato in hotel prima della partenza), e una statuina in legno intaccata a mano e ricoperta di una patina che sembra lacca. Le Bahamas sono un gruppo di oltre 700 piccole isole ma quel che ho visto qua non era quello che mi aspettavo. La cucina è spettacolare, l’oceano è freddo ma il clima è caldo quindi puoi farti il bagno anche a Febbraio. Sono essenzialmente un paradiso fiscale, quindi la fonte di sopravvivenza dell’isola è il turismo; economico, fiscale e opportunista. Ma non è un Paradiso. Forse è quel che il Paradiso diventa quando tutti prendono e pochi restituiscono. E quando nessuno se ne cura per decenni. C’è tanta umanità in questo posto, ma onestamente anche molta malinconia. C’è un’immagine forte, mi è rimasta impressa ed è tornata a casa con me. Camminando verso il parcheggio del Bazaar, dove ho parcheggiato il mio scooter, (ah, a proposito, il tipo che mi strattonava ovviamente mi avrebbe poi fatto pagare il pieno. Doppio), un uomo molto vecchio spinge, zoppicando, la propria carrozzina vuota.

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categoria: viaggio
luogo: Freeport, Bahamas (Febbraio 2013)
testo & foto: Alessandro Renesis / Ale S.
Ale S. on Twitter
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