venerdì 19 giugno 2015

Jaguar F-Type

Suppongo che per quelli tra voi che parlano il russo o il giapponese o il cinese il concetto di alfabeto si estenda ben oltre la ventina di lettere che noi italiani conosciamo. Ma per la maggior parte degli europei, abituati a parlare italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo e così via, l’alfabeto è una questione semplice. Basilare. Schematica. Non si scappa quindi dalla suggestiva verità che la F, nell’alfabeto, viene dopo la E. Ecco perché anche ai meno informati o interessati alla storia dell’automobilismo non sarà sfuggito che la Jaguar F-Type sembra la candidata ideale per raccogliere la pesantissima eredità della E-Type. Purtroppo, non ho mai guidato la E-Type e quindi non posso affermarlo con certezza ma ho la sensazione netta che meriti un posto accanto alla Lamborghini Miura, la Ferrari Daytona, la Riva Aquarama, il Concorde e l’Antonov 225. Ovvero un poster in camera, più che un mezzo di trasporto. La F-Type regala ogni tipo di impressione, tranne quest’ultima. Non ci sono dubbi quindi che l’ultima nata in casa del Giaguaro sia più adeguata accanto al Boeing 737, la Maserati Granturismo e il famoso “bullet train” giapponese Shinkansen. Capolavori della tecnica e dell’ingegneria, eccezionali esercizi di design, ma pur sempre mezzi di trasporto. Avevo premesso qualche settimana fa, appena dopo averla guidata, che la F-Type ha tre difetti. Scusate l’introduzione lunga e tediosa ma era necessaria per portare l’attenzione sulla prima pecca. Non è un’auto per niente pratica nell’uso quotidiano. Una spider due porte è normale che non lo sia, ma fino a un certo punto. E la Jaguar va ben oltre quel punto. Ci sono essenzialmente tre luoghi dove un’auto può e deve stare. In un museo, in una pista o in strada.

La F-Type è bellissima ma non è da museo, è veloce ma non è nata per la pista, quindi per esclusione il suo habitat è la strada e in strada servono, tanto per fare un esempio, un baule semi-quasi utilizzabile, che la F non ha. Si può ignorare il baule e si può glissare anche sulla dotazione scarsa, ma la rigidità…. La F va meglio aumentando il passo ma in città, alle basse andature soprattutto, è incredibile. In senso negativo. Basta guidare in qualunque tipo di fondo stradale che non sia asfalto liscio come una palla da biliardo, con qualunque tipo di pendenza a qualunque ritmo per rendersene conto. Spacca la schiena e sobbalza senza sosta. Dopo aver guidato per cento metri ho pensato di fermarmi per controllare la pressione degli pneumatici. Era così rigida da dare la sensazione di guidare direttamente sui cerchi. Guidare sopra una formica su questa ha lo stesso effetto che si potrebbe avere guidando sopra uno di quei tremendi dossi che si trovano nelle cittadine sul sud della Francia a 60 orari con un’auto comune Parte del problema, oltre che dalle sospensioni troppo rigide, dipende dal peso. La F-Type è costruita quasi interamente in alluminio e questo porta inevitabilmente a chiedersi quanto avrebbe potuto pesare se fosse stata costruita con altri materiali perché supera, e di molto, la tonnellata e mezzo. Troppo per essere la sportiva che vuole essere. Il peso è la chiave di tutto, rovina l’accelerazione, peggiora i consumi e rende l’auto ingombrante e più goffa in curva. Come un elefante che tenta di pattinare sul ghiaccio. Ma il più grande difetto di quest’auto, di gran lunga, è il prezzo. Ogni auto di questa categoria deve per forza di cose confrontarsi con la Porsche Boxster e la Porsche Cayman. Le due tedesche sono il punto di partenza. Chi è sul mercato in cerca di una sportiva di dimensioni medio-piccole sotto i 100.000 € (beato lui) finisce inevitabilmente alle porte di una concessionaria della casa di Stoccarda. Beh, se la Boxster parte da 50.897 euro e la Cayman da 53.075 allora la F-Type? 55.000? 60.000 forse? No, neanche lontanamente vicini. Parte da 75.850 e per quel prezzo non ci sono neppure i sedili totalmente in pelle né il bluetooth né il clima bizona né l’accensione automatica dei fari. Si pagano persino 2.200 per avere la vernice metalizzata nelle tonalità più belle, inclusa la Firesand, che secondo me è quella da scegliere. Ho speso molte parole per descrivere i difetti di quest’auto e onestamente adesso non ho idea di cosa scrivere per parlare dei pregi. Non ci sono pregi tangibili, è tutto molto emozionale. Ma come descriverli? Normalmente quando l’auto in questione è una due posti, due porte, sportiva di fascia medio-alta come questa i tester adorano scrivere e scrivere e scrivere usando paroloni e aggettivi come “epico” e “memorabile”. La tenuta di strada è “sorprendente” e la spinta è “possente”. Sorprendente rispetto a cosa? Una Fiat Punto. E anche possente credo sia un po’ inutile come aggettivo. Con 3-400 cavalli deve esserlo. E la linea? Ah, su questo argomento mi infervoro. Uno dei luoghi comuni più diffusi se leggete prove di auto di questo genere riguarda la reazione delle altre persone. I giornalisti amano scrivere che tutti si girano a guardarla. Anche dando per scontato che questo fatto sia davvero importante, e non sto dicendo che lo sia, semplicemente non è vero. Provate ad andare nel pieno centro di Times Square a New York con un megafono e gridate “BOMBA!”. Quello sì che causa una reazione. Una F-Type? Quella che un’auto del genere provoca nel 99 % dei luoghi in cui potreste guidarla in Europa si chiama studiata indifferenza. Gli altri la vedono, la vogliono, l’ammirano. Ma faranno di tutto per non farvelo notare. Perché voi la state guidando e loro no. Anche se, come nel mio caso, la F-Type non è vostra e appena conclusa la prova vi aspetta una Mazda RX8 vecchia di 7 anni che potrebbe o potrebbe non partire. Questo gli altri non lo sanno. Non sono certo che l’Europa sia, purtroppo, nel giusto contesto sociale per un’auto del genere. E anche se è veramente bellissima e il suono che esce dagli scarichi è veramente epico (scusate l’aggettivo ma avrei voluto poter effettuare riprese video per farvelo sentire, è sensazionale), la Jaguar F-Type è semplicemente anacronistica e inadatta ad essere utilizzata nel nostro paese. Ora. Soprattutto nel colore Firesand che tanto adoro. Ma qui non si testano le caratteristiche sociali dell’auto o chi la guida. Si testa l’auto. E l’auto vale ogni centesimo dei 75.000 euro che costa. Nonostante il baule adeguato per farci stare al massimo una rana. Nonostante rimbalzi con quelle sospensioni di pietra. Nonostante gli inevitabili controlli della polizia a cui dovrete abituarvi se ne guidate una. Avere una F-Type per molti versi è come avere una fidanzata mezza ubriacona, lunatica, aggressiva che vuole solo mangiare in ristoranti con conto a tre cifre. La si odia. Ma si continua a perseverare perché ha il viso di un angelo, il corpo di una supermodella e occasionalmente….



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categoria: auto - prove su strada e recensioni
luogo: Interlaken, Svizzera (Giugno 2013) - Firenze, Italia (Luglio 2013)

prima prova su strada effettuata a Interlaken (Svizzera) nel Giugno 2013, seconda prova effettuata a Firenze nel Settembre 2013. Recensione dell'auto pubblicata anche su kerbmotori.com 

testo & foto: Ale S.
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mercoledì 17 giugno 2015

BMW i3, Parte I



Dato che vivo in un paese che sta essenzialmente cadendo a pezzi e considerando che sto all’universo del giornalismo automobilistico, che in Italia è di per sé praticamente inesistente, come la Grecia sta all’Unione Europea, non ho mai guidato una Lamborghini Aventador. Non ho neppure mai guidato una Dodge Viper, né una Corvette, né una Porsche Panamera.


Ma ho guidato, tra le altre, una SLS Amg, una Jaguar F-Type, qualche Ferrari, una Gallardo e la Lotus Elise quindi non sono estraneo alle auto veloci e spettacolari. Sono anche estraneo al concetto di invidia, alcune persone sono semplicemente più fortunate di altre e negarlo è stupido. Quindi se ho la possibilità ai fini giornalistici o anche solo per diletto di guidare un’auto ben cavallata e costosa mi emoziono. Anche se so che non potrò mai possederne una. Se vedo passare una SLS sussulto. Una volta ho visto due modelle scendere da una Porsche 911 GT3 RS al 'Ring in Germania e sono quasi svenuto. Ma come ho già detto vivo in un paese che sta crollando su sé stesso e che si alimenta di invidia mentre muore di tasse.


E’ questo il motivo per cui non simpatizzo per tutti quei giornalisti che giurano di aver causato “caos” guidando auto strambe o rumorose in centri abitati. Perché non dicono la verità. E questo lo so perché nessuno, a parte me, ha minimamente degnato di uno sguardo l’Aventador grigio titanio che ho visto passare stamani mentre ero seduto a bere un caffè nel mio bar preferito a Quarrata. E lo so anche perché pochi hanno degnato di un secondo sguardo la BMW i3 che ho guidato in pieno giorno a Firenze.








La BMW i3 è bella per alcuni, meno bella secondo altri, ma senza dubbio è diversa. In mezzo al traffico costituito da nere e tristi Opel, BMW, Mercedes e Volvo dalla forma canonica, la silhouette tozza, compatta e alta di un’auto mai vista prima di un grigio/blu che definirei elettrico risalta come un cactus nel deserto. Ma nessuno sembrava vederla. Né soprattutto guardarla.


La i3, come ad esempio la RR Evoque, non ha subito sostanziali modifiche dalla concept e alla messa in commercio in serie. Raro nell'industria automobilistica. Le concept car presentate nei saloni sono di solito di forma esagonale fatte di rame e pelle di cammello con cerchi da 48 pollici e tinte di verde lime….salvo poi essere vendute da listino come l’ennesima auto a due volumi che ricorda la VW Golf disponibile in grigio, grigio scuro o grigio chiaro.


La BMW i3, prima auto completamente elettrica prodotta da BMW, è futuristica e se vogliamo avanguardista esattamente come lo era la relativa i3 concept che venne presentata per la prima volta al salone di Francoforte del 2011.


Ma la i3 non è una concept car. È un’auto prodotta in massa che chiunque può comprare, la domanda è: dovreste?


La risposta è, condensata e riassunta e filtrata, no. O meglio non ancora.


Le auto elettriche forse rappresentano il futuro, ma non per adesso. Non finché saranno tutte quante afflitte dagli stessi problemi. L’autonomia, il costo all’acquisto e i tempi di ricarica.


La piccola elettrica della casa bavarese si ferma dopo 200 km, e anche con motore termico aggiuntivo, che si può aggiungere come optional e che la renderebbe di fatto un’ibrida, non si va oltre i 300 km. Questo significa che nemmeno la classica gita domenicale al mare può essere garantita. A meno che il vostro stabilimento balneare preferito non vi consenta di attaccare la vostra auto alla presa della corrente al posto del frigo. Operazione che, visto l’alto voltaggio richiesto, provocherebbe probabilmente un black-out per l’intera riviera. E richiederebbe comunque centodiciotto ore.


È questo il vero problema, non tanto l’autonomia quanto le modalità e tempistiche di ricarica, anche con le colonnine (optional) di ricarica create appositamente per dare energia all’auto, i tempi sono sempre nell’ordine di ore, non dei minuti. Però l’auto non è un cellulare, non è comodo doverla “mettere in carica” ogni sera.


Poi c’è il prezzo. 36.200 euro prima di mettere mano al catalogo degli accessori e sono troppi. Da qualunque punto di vista la vogliate analizzare è una cifra eccessiva per una piccola utilitaria. Perché la i3 a conti fatti questo è: una piccola utilitaria.


Ma onestamente non me ne importa un accidente dei 36.200 euro. Né dello 0-100 in 7,2 secondi. Né del tempo di ricarica. Né della dotazione di serie. Né del peso a vuoto 1,195 kg. Né della qualità delle plastiche interne o dei materiali riciclati o di quanto sia “green” quest’auto.


Mi importa di Charlotte.


Non sono sicuro che valga la pena di spendere 36.200 su un’auto, qualunque essa sia, quando tra gli annunci degli usati si trovano tonnellate di MINI Cooper S, che realisticamente è un’auto che vi fornisce quasi tutto quello che vi serve, a meno di 10.000 €. Ma ho deciso di scrivere di auto per guadagnarmi una scusa per guidare un’auto elettrica per cui nessun proprietario ha ancora ricevuto le chiavi in una delle mie città preferite con una bionda di nome Charlotte sul sedile del passeggero.


Quindi su queste basi la BMW i3 è la mia nuova auto preferita.





Bmw i3








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*auto - prove su strada e recensioni*
prova su strada effettuata a Gennaio 2014,
testo & foto: Ale S.
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sabato 13 giugno 2015

Transfăgărăşan

Nicolae Ceauşescu era un pazzo. Nella storia si sono susseguiti svariati dittatori totalitaristi che hanno piegato popoli e preso molte vite, in diversi paesi del mondo. La Cambogia ha avuto Pol Pot, la Russia Lenin e Stalin, la Cina Mao Tse Tung, la Jugoslavia Tito, senza considerare i più famosi dittatori europei che non hanno nemmeno bisogno di essere nominati e la lista continua con molti nomi e molte vittime. Ma fra tutti questi Nicolae Ceauşescu ha la fama di essere stato uno dei peggiori. Per darvi un’idea della sua pazzia vi racconto che leggende metropolitane dicono che esigesse le foglie colorate di verde ovunque andava. Leggende metropolitane, appunto. Probabilmente infondate e false, ma immaginate un soggetto di cui si dicono queste cose, dategli in mano un paese e immaginatevi una dittatura sotto il suo comando. Non un bello scenario, vero?
150 serpentine, 27 viadotti, 6 tunnel e 275.000 tonnellate d’asfalto
E’ un gran peccato però dover ammettere che è merito suo se oggi chiunque può prendere la propria auto, o noleggiarla, e guidare in una delle strade più belle del mondo: la Transfăgărăşan. Ceauşescu ne ha ordinato e voluto la costruzione. 150 serpentine, 27 viadotti, 6 tunnel (tra cui il più lungo del paese, non illuminato, di 884 metri), 275.000 tonnellate d’asfalto, il tutto costruito con l’ausilio di 6250 tonnellate di esplosivo, necessario per la costruzione nei punti dove le rocce erano più dure. Ben 40 vite sono state perse nei lavori per questa strada. Vista dall’alto è magnifica. Immersa nel verde, piena di tornanti, curve e controcurve, sempre con visibilità ottimale tra l’una e le altre. La strada taglia in due la montagna, costeggiando torrenti d’acqua e rocce arrivando fino a un’altitudine massima di 2.034 metri sopra il livello del mare. Dove si trova questa meraviglia? Alpi Svizzere? Appenino Italiano, forse? Foresta nera o Austria, magari? Forse campagna e montagne francesi? No. Si trova in Romania.

La Transfăgărăşan collega le regioni storiche di Valacchia e Transilvania, partendo da Pitesti e arrivando fino a Sibiu. E’ lunga circa 90 km e nel percorso si trovano svariati rifugi/hotel dove passare la notte. Vi conviene farci una sosta se andate, perché di sera fa un freddo cane. E vi conviene fermarvi prima delle 9 e mezzo, perché a quell’ora le cucine nei rifugi chiudono. Questo lo so perché quando siamo arrivati al nostro rifugio, alle 9 e pochi minuti, pronti per la cena, ci hanno detto che la cucina era chiusa e di provare il ristorante a pochi passi dall’albergo. Lì abbiamo potuto gustare una nutriente e completa cena a base di salatini, pezzi di torta e birra. Non male. A questo punto vorrei parlarvi di com’è guidare in questa strada da un punto di vista dinamico, vorrei esaltarmi raccontandovi di come sia incredibilmente facile e divertente affrontare i tornanti in 2° o 3° marcia in derapata per poi accelerare a fondo e staccare appena prima della prossima curva. Vorrei decantare le lodi del suono di un possente V8 che risuona nella valle, dirvi quanto sia eccitante dare gas in fondo in uno dei 6 tunnel e sentire il rombo del motore. Vorrei ma non posso farlo. Perché questa strada per essere apprezzata a fondo richiede un’auto di un certo tipo e in Romania le opzioni tra le auto disponibili a noleggio scarseggiano. Si tratta più che altro di Dacia e vecchie Renault, e quindi beh, avevo una Dacia Duster. Sì, ha la trazione su tutte le ruote il che fa sempre piacere in curva, ma la lista dei pregi finisce lì. E’ più scomoda di un letto fatto di pietre, i freni hanno la stessa grinta di un castoro, tiene la strada come un divano, è appena meno potente del Belgio e veloce appena un po’ di più rispetto a un elefante. In un mondo perfetto l’auto ideale potrebbe essere una non per forza tecnicamente perfetta ma con tanta coppia e la trazione posteriore per divertirsi. Diciamo una Mercedes SLS AMG che con 650 nm di coppia promette di farvi passare la maggior parte del tempo di traverso. Oppure, durante il periodo estivo in cui il tempo è mite e soleggiato, una Aston Martin DBS Volante o Mercedes SL 63 AMG, per godervi le curve a cielo aperto. Il mondo reale però purtroppo offre una scelta ben più limitata. Partire da casa vostra personalmente non la trovo una grande idea. Molti chilometri attraverso molti paesi dove fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio. Noleggiare l’auto sul luogo è la soluzione ideale, ma a meno che non disponiate di circa 630 euro al giorno per noleggiare una Ferrari 360 Modena a Bucarest, e ne dubito, la scelta migliore rimane quella di andare sul semplice ma efficace. Gli autonoleggi di Bucarest offrono a prezzi competitivi (100 euro al giorno) una Mazda MX-5, auto che io considero una tra migliori al mondo, perché offre tanto in cambio di pochissimo. In questo modo potrete spassarvela un po’. Non preoccupatevi dei pieni di benzina perché è molto economica da quelle parti.

La Duster non mi ha permesso di divertirmi poi più di tanto, ma è stata comunque sufficiente per capire le potenzialità di questa strada. Vista dall’alto è magnifica. Incredibilmente fluida, panoramica, curve su curve, lunghi dirizzoni e serpentine. Come se ogni curva dei migliori circuiti del mondo fosse stata messa insieme per creare 90 chilometri di asfaltata perfezione. E come ha detto Jeremy Clarkson dopo aver percorso questa strada: “Romania, thanks for having us. And can we stay? Forever…”




testo & foto di Ale S.
Transfăgărăşan, Romania, Settembre 2010
Prova pubblicata per la prima volta nell' Ottobre 2010

giovedì 11 giugno 2015

Lexus LFA a Monaco. La migliore auto che abbia mai guidato.

Normalmente sono abbastanza categorico. Ho la capacità di cambiare idea ma ne ho, generalmente, solo una per oggetto o luogo o usanza o pensiero. Non esito e raramente ho dubbi. Esempio: Sì, mi piacciono sempre le birre artigianali. No, detesto bere con la cannuccia. Non ho opinioni contrastanti riguardo a Las Vegas o Londra o Firenze o Verona o Kaunas. Le adoro. Senza nessun “anche se”. Non ho opinioni contrastanti nemmeno riguardo a Madrid e Quarrata. Le detesto. Ecco, uno dei pochi luoghi al mondo riguardo al quale ho due opinioni contrastanti è Monaco. Da un lato è un paradiso fiscale pieno di criminali di alto rango che hanno bisogno di un posto dove iniettare e riciclare milioni, arabi con molti molti molti più danari che gusto e ragazzotti playboy da due soldi che si alzano la mattina nella loro alcova, salgono sulla loro auto da 150.000 euro che hanno comprato con soldi che avrebbero dovuto spendere in tasse, e fanno le “vasche” avanti e indietro intorno al casinò per farsi vedere e fotografare. Che senso ha? D’altro canto è anche vero che si tratta di un piccolo pezzo di paradiso accovacciato sul mare che gode di 300 giorni di sole ogni anno, zero furti, zero vandalismo, prezzi non così alti come si potrebbe pensare e soprattutto una costante e meravigliosa pletora di supercar e superfighe. Tralasciando la seconda delle due “S” voglio concentrarmi sulle supercar. Se siete malati mentali di automobili come me, Monaco è la vostra Mecca. Il vostro Anfield. Il vostro Wimbledon. Il vostro settimo cielo. Venite qua e prendete un caffè o una birra o un tè caldo o un gelato seduti al Cafè de Paris. Vi garantisco al quattromila percento che in una qualunque ora di un qualunque giorno di una qualunque stagione dell’anno vedrete passare almeno una Ferrari ogni sette minuti.

Promenade, Monaco
È molto difficile farsi notare a Monaco. Ogni giorno decine e decine di rampolli figli di sceicchi che controllano dodici o tredici compagnie aeree vengono qua per mettere in mostra la loro Bugatti Veyron. Non dimenticate che questa è una pseudo-nazione che è stata messa sulla mappa, metaforicamente e letteralmente, da un matrimonio (Grace Kelly e il Principe Ranieri), un gran premio di Formula 1 (statisticamente il 50 % dei piloti che prendono parte alla stagione ogni anno risiede a Monaco) e dalla totale assenza di tasse sul reddito. Nient’altro. Qui non c’è mai stato un Rinascimento o una rivoluzione. Se avete letto la prova della F-Type sapete bene quanto poco conta per me (e quanto credo sia sopravvalutato) l’impatto “eclatante” che un’auto iper-cavallata ha sui passanti. Ecco perché dovete credermi se vi dico che è praticamente impossibile muoversi a Monaco se state guidando una LFA. Perché verrete letteralmente ricoperti di persone. Sto per diventare molto telematico e clinico quindi se siete fra quelli che amano l’ironia e mal tollerano la serietà vi consiglio di smettere di leggere. E mi sento in dovere di avvertirvi, cari lettori, che quello che sto per scrivere potrebbe non essere né conciso né coeso né coerente né sensato né pacato né bilanciato. La Lexus LFA è la migliore auto che abbia mai guidato. Cambia e stravolge totalmente tutto quello che io abbia mai scritto, pensato e detto sul mondo delle automobili. È sensazionale. La gestazione stessa dell’auto ha dell’incredibile. Presentata come concept per la prima volta nel 2005, all’ultimo secondo prima di mandarla in produzione hanno deciso di rifarla completamente da capo cambiando la scocca da alluminio a fibra di carbonio. Provate a immaginare il costo pantagruelico di una decisione simile, Lexus dichiara (sì, esatto, dichiara) di aver generato una perdita da ogni singola auto venduta. A 375.000 € al pezzo. L’hanno fatta girare infinite volte al Nürburgring finché l’auto non è diventata, a tutti gli effetti, perfetta. Non necessariamente per le prestazioni ma certamente per la guidabilità e l’impatto emotivo che ha sul pilota. Al contrario di quasi tutte le supercar in circolazione non ha neppure un cambio a doppia frizione, il cambio è a frizione singola perché il guidatore possa sentire la cambiata. Ha un V10 da 4,8 litri che sviluppa 560 cavalli e grida fino quasi ai 10.000 giri. Alla Lexus sono stati costretti a montare un contagiri digitale perché quello classico non sarebbe stato in grado di stare al passo del motore stesso salendo di giri.
Ero un po' teso...
L’auto è viva, è brusca, è impetuosa. Il termine “immediato” è stato inventato per definire la risposta alla pressione dell’acceleratore della LFA. In modalità sport sopra i settemila giri l’auto ha una progressione infinita e spaventosa. Scuote il cemento dell’asfalto e dei tunnel autostradali dove l’ho un po’ strapazzata. Lasciate un attimo da parte l’effetto “che-cos’è-quella-cosa-facciamo-una-foto”, come auto, puramente come mezzo di guida quindi, è eccezionale. Non ha importanza quante foto vi faranno mentre la parcheggiate perché è nella guida la vera soddisfazione. È il genere di macchina che vi spinge a percorrere quattrocento chilometri senza mai fermarvi, arrivare, girarvi e tornare indietro solo per continuare a guidare. Il guaio è che difficilmente potrete comprarne una. Prima di tutto perché ne sono state prodotte solo 500 e solo poco più di 80 si trovano in Europa. E poi perché il prezzo medio di una LFA di “seconda mano” è di circa 400.000 €. Non disperate però. La Nissan GTR vale il 90 % di quest’auto e costa cinque o sei volte di meno.

Difetti? Sì, molti. Il serbatoio è piccolo e quindi, anche con una guida accorta, si è costretti a continui rifornimenti di carburante, la cintura di sicurezza è posizionata in maniera idiotica e 400.000 € sono veramente troppi per quella che è a tutti gli effetti una Toyota, soprattutto considerando che esiste la GTR per, come appunto dicevamo, un quinto del prezzo della LFA. Onestamente non so che senso abbia avuto per la Lexus produrre una supercar che ha richiesto un investimento così alto, sia a livello finanziario che di tempistica, dichiaratamente a fondo perduto. L’unica motivazione ragionevole e logica potrebbe essere la volontà da parte della casa giapponese di mettere il proprio nome sulla mappa mondiale dei produttori di auto performanti per aprirsi la strada, guadagnandone sia in credibilità sia in potenziali vendite, per un futuro orientato alla produzione di auto sportive in serie, non esattamente l’attuale specialità in casa Lexus. Certo è che la LFA si inserisce di prepotenza negli annali dell’automobilismo. Seguendo il credo secondo il quale le supercar debbano trovarsi a proprio agio come poster sul muro del ragazzino con gli occhi sognanti prima che in strada, la LFA ha le potenzialità per diventare un’icona più che un’auto, al pari della foto della tennista bionda che si gratta il sedere. Temo di non possedere la capacità di sintesi necessaria per concludere questa prova senza cadere nel banale o senza occupare altri KB di spazio elettronico, quindi mettiamola così. La Lexus LFA è fantastica. PUNTO.


la nostra prova in inglese su leavemeflabbergasted.com

abbiamo pubblicato la prova su strada anche su Kerb Motori e leavemeflabbergasted.com

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guidata a Monaco, Aprile 2014
categoria: auto - prove su strada e recensioni
luogo: Principato di Monaco, Monaco (Aprile 2014)
testo & foto: Ale S.
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mercoledì 10 giugno 2015

Europa dell'Est: 7,000 Chilometri. Undici Nazioni. Dodici Giorni

László è nato a Tallinn da madre russa e padre ungherese. E’ alto 1 metro e 70 al massimo e nonostante indossi l’uniforme da barista/portiere di un hotel di lusso si vede la struttura fisica tipica di quelle persone a cui non andresti a dire “sei scemo”. E’ gentile e sorride sempre ma sotto la coltre fatta di modi concilianti e accoglienti si percepisce la freddezza. Sarà la postura. Sarà il grido rauco e profondo capace di incrinare una roccia che ci ha indirizzato quando, pochi minuti prima, eravamo in strada e stavamo, inconsciamente, per entrare in un vicolo dove evidentemente non si può. László sembra duro come il titanio. Buona memoria, capacità di osservare e intuito sono grandi doti. Mi vanto di averne almeno un po’, le metto tutte e tre insieme ed entro quattro minuti dall’inizio della conversazione raccolgo la faccia tosta e il coraggio per quanto posso, e certamente i due Vana Tallinn che ho bevuto aiutano, e gli faccio la domanda che mi balena in testa dall’istante in cui si è presentato. -Sei una specie di poliziotto o ex-militare, vero? Mi aspetto un pugno nello stomaco. Mi aspetto un colpo secco alla trachea di quelli che ti fermano il respiro come nei film. Mi aspetto una testata. Ricevo un “sì”. “Forze speciali” precisa László. Butto giù un altro Vana Tallinn e rifletto sul fatto che per la prima volta nella mia vita ho stretto la mano ad una persona che probabilmente ha ucciso qualcuno. Sempre che la storia delle forze speciali sia vera. Non è che abbia tempo di pensarci perché László nel frattempo ci serve il quarto Vana Tallinn, forse quinto, della serata. Vana Tallinn (in estone Vana significa vecchia, antica) è un liquore tipico di, l’avete indovinato, Tallinn. È simile al Cointreau, se proprio dobbiamo trovare un paragone, ma più alcolico e leggermente meno dolciastro.

László ci chiede da dove veniamo e pare seriamente impressionato, positivamente s’intende, quando gli diciamo che siamo venuti dall’Italia in auto. Ci sono due argomenti che mi sento di dover affrontare con un ex agente delle forze speciali mentre lui mi serve da bere e io bevo. Uno. Le donne. Due. La lingua russa e l’eredità lasciata dall’Unione Sovietica. László sa dove voglio andare a parare. Pensate di aver visto donne belle in vita vostra? È niente paragonato a quelle che si trovano nelle tre repubbliche baltiche, Lituania, Lettonia e Estonia. A circa 200 km a est di Tallinn esiste una città chiamata Narva. A Narva esiste un fiume dello stesso nome che nasce dal lago Peipus e sfocia nel Mar Baltico. Il fiume Narva è attraversato da un ponte. Dall’altra parte del ponte siete in Russia. Narva è universalmente considerata la città con la maggiore “produzione”, consentitemi il termine, di belle donne al mondo. Mi dice László. La questione dell’influenza dell’Unione Sovietica, invece… László ripete di sentirsi molto più russo che europeo, mentre ci serve un Vana Tallinn e sostiene, fisicamente, un suo collega ubriaco che nel frattempo sta continuando a bere e non si regge in piedi. Dopo lo smembramento dell’U.R.S.S. le tre piccole repubbliche baltiche sono rimaste dimenticate in un limbo, ignorate un po’ da tutti. Adesso si stanno lentamente europeizzando. Le vecchie generazioni parlano russo ma i giovani studiano inglese e spesso dimenticano quel poco di russo che i nonni tentano di insegnar loro. Tallinn mi ricorda tantissimo Innsbruck, Bregenz e anche Monaco di Baviera. L’aria che si respira è decisamente europea. Complice, presumo, il grande afflusso di turisti occidentali (italiani onnipresenti nelle strade del centro storico) che si fermano qua come tappa obbligatoria delle crociere che passano da queste parti. L’Estonia è certamente la più famosa o per meglio dire l’unica delle tre nota ai più. E scommetto che molti di noi, mappamondo senza nomi scritti sopra alla mano, non saprebbero dire quale dei tre piccoli staterelli sia l’Estonia.

Tallinn, Estonia


Avevamo programmato questo viaggio mettendo un mirino simbolico su Tallinn come punto più a nord raggiungibile in Europa via terra, senza entrare in Russia. Avevamo considerato Praga e Varsavia come tappe fondamentali. La cavalcata autostradale verso l’Italia attraverso Svezia, Danimarca e Germania come affascinante alternativa al percorrere le stesse strade dell’andata in senso opposto. Avevo sognato nella mia testa un diario giornaliero da trasformare in articolo una volta tornato. E da nessuna parte nei mesi di progettazione e di itinerari e programmi e mappe e prenotazione di hotel e consultazione di guide turistiche avevo considerato László. E soprattutto in nessun modo avrei potuto immaginare che, oltre alla crociera di 17 ore sul mare di Finlandia da Tallinn a Stoccolma, i luoghi in assoluto più interessanti non li avremmo trovati nell’inflazionata Praga o nella sempre più moderna Varsavia o nei tanti ammirati paesi Scandinavi, ma in Lituania e Lettonia.

Riga, Lettonia


La Lettonia è conosciuta nella nostra parte d’Europa per due cose. La bellezza delle donne, ovviamente, e i tir che puntualmente affollano le nostre autostrade trasportando latte o mucche o armi nucleari o qualunque cosa sia importabile dalla Lettonia. Eh già. Avete presente il tir targato LV che la scorsa settimana in autostrada vi ha tagliato la strada per superare, facendo i 75 chilometri orari, un altro tir targato sempre LV che faceva i 74 chilometri orari? Esatto. Ma la Lituania?! Potreste tagliare in due il mondo da nord a sud e da est a ovest. Visitare le metropoli più cosmopolite e i paradisi fiscali più prominenti nella lista nera, la Black List. Potreste andare in USA, Canada, Cina, Russia, Africa e visitare ogni singola capitale europea dell’ovest senza incontrare una persona di nazionalità Lituana, a meno che non andiate davvero in Lituania. E dovreste perché Kaunas è una gemma nascosta in mezzo all’Europa. Se siete fra quelli che amano le statistiche, i fatti e i trivia; posso snocciolarvi due info così su due piedi riguardo alla repubblica baltica dalla bandiera gialla, verde e rossa. Iniziamo col dire che la nazionale lituana di basket è tra le più forti d’Europa e quarta nel ranking mondiale (dopo U.S.A., Spagna e Argentina) e che il suo giocatore più rappresentativo Šarūnas Jasikevičius gode di tutta la mia stima per essere stato sposato con la modella israeliana Linor Abargil. Sapete cos’è il ease of doing business index? È un indice, o classifica per chiamarla come quello che è. È stata creata dalla World Bank e prende in esame vari fattori in 189 paesi in tutto il mondo. 9.600 tra ufficiali governativi, avvocati, consulenti finanziari e professionisti della contabilità stilano la classifica in base a quanto sia semplice in ogni determinato paese aprire e gestire un’attività. Vengono considerate tasse, burocrazia, semplicità nell’ottenimento di credito, permessi edilizi e installazioni di linee di gas e luce e acqua, trasparenza e in generale rapidità nello sbrigare la burocrazia. Le cartacce iniziali per intenderci. La Lituania occupa il 17° posto. Troviamo la nostra Italia, giusto per fare un paragone, solo al 65° posto preceduta, tra gli altri, da Samoa, Bulgaria, Botswana, Rwanda, Macedonia e Bahrain. Kaunas è una città con 378.000 abitanti ed è il centro industriale e commerciale della Lituania. E si vede. Le stradine del vecchio centro storico sono costellate di negozi e bar e lituane bionde. Il patrimonio culturale e artistico non ha niente da invidiare ai migliori borghi italiani. La chiesa di San Francesco Saverio ad esempio, anche se è stata ovviamente più volte ristrutturata negli anni, è datata 1666. Ironico, se ci pensate. Una chiesa la cui costruzione inizia in un anno che finisce con 666. Ho paura di dover contraddire il mio nuovo amico László, anche se so che se fosse qui mi colpirebbe con una mossa letale di Krav Maga o qualcosa del genere, ma non sono state le donne di Tallinn né Kaunas ad aver maggiormente lasciato un segno nel nostro viaggio. Né l’appartamento di Praga dove con i miei compagni di viaggio abbiamo inventato Passport-Pingpong (ping pong utilizzando il passaporto aperto alla pagina della foto come racchetta). Né Varsavia che è stata resa particolarmente mistica e bella dalla pioggia fina (e a tratti fitta) che cadeva. Neanche la crociera, per quanto divertente con la discoteca sul ponte della nave. Né Stoccolma. Né Copenhagen. Malmö, conosciuta principalmente come città natale di Ibrahimovic e principale porto svedese e collegamento con la Danimarca. Neppure il tunnel stradale subacqueo che collega Svezia e Danimarca. Neppure Friburgo. Tutto bello. Emozionante. Intenso. Divertente. Epico. Memorabile.




Non è stata neppure la Renault Mégane Coupé bianca. La media sportiva (segmento C) della casa francese si è rilevata elastica e adattabile. Adeguata in ogni situazione nonostante il suo piccolo 1,5 litri diesel da 110 cavalli, ha affrontato bene le Autobahn tedesche così come le strade terribili e spaccate che portano dalla Polonia alla Lituania. E’ comoda, parca nei consumi e nonostante sia un progetto datato ormai 2008 è invecchiata benissimo. La nostra fedele compagna di viaggio si è comportata egregiamente ma non è ciò che mi è rimasto più impresso. È stato il Nürburgring. E al Nürburgring, l’inferno verde, sono successe alcune cose. Nella Nordschleife, la parte del ‘Ring chiusa alla F1 da anni e adibita a uso pubblico (con pagamento di biglietto) sono successe alcune cose. Sul rinomato circuito automobilistico abbiamo girato con una VW Polo GTI, una Suzuki Swift Sport e con la nostra Renault Mégane Coupé. Una Honda S2000 targata Varese ha affrontato una curva in drift sfiorando di 20 centimetri il nostro paraurti. E al parcheggio della biglietteria due iper-modelle tedesche, una bionda e una mora, vestite a festa e col tacco, sono emerse dall’abitacolo corsaiolo di una Porsche 911 GT3 RS. Ecco, questo sì. Son cose che ti segnano.





Rohuneeme, Estonia

testo & foto di Ale S.
il viaggio risale all'Agosto 2013
circa 7.000 km, 10 nazioni toccate (Italia, Austria, Germania, Repubblica Ceca, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Svezia, Danimarca, Svizzera) in 12 giorni

Pezzo pubblicato su Kerb Motori (rivista cartacea) 
e UB - Universebooking.com (in Lingua Inglese) 6K miles, 8 Countries in 12 days


martedì 9 giugno 2015

Oggi vi racconto una storia.
Questa storia inizia, come spesso accade in storie On The Road, a Montecatini Terme con me bloccato in mezzo al traffico tra il centro e l’ingresso autostradale sull’A11 Firenze-Mare. Il destino regala e il destino reclama, quindi così come mi ha generosamente concesso una MINI Cooper S di colore grigio-blu notte (ufficialmente Thunder Grey Metallic) trovo forse persino giusto che mi debba condannare ad una coda in una delle strade meno interessanti della Toscana. E’ una gran cosa avere un rapporto peso-potenza superiore a chiunque io veda tra le auto in fila con me, peccato non poterne trarre vantaggio. La cattiva notizia è che sono rimasto incastrato in coda abbastanza a lungo da conoscere il nome del tizio nell’auto accanto alla mia, la buona notizia è che quando finalmente il traffico si sbloccherà, fra sedici o diciassette ore, la MINI correrà snella in direzione Marina di Pietrasanta in un lampo.
Marina di Pietrasanta è la parte più vivibile, più o meno discreta e probabilmente migliore della Versilia ed è qui, sulla modaiola costa Toscana che si affaccia sul Mar Ligure, che la MINI si sente a proprio agio.
Vi verrà detto che la MINI è un’auto snob, sovra-prezzata e inutile….da chi non può comprarsene una.
La MINI è un grande piccola automobile. Ed è veloce. Molto veloce. C’è un termine tecnico che i giornalisti e addetti ai lavori del settore utilizzano, una descrizione che mi sento di pronunciare con parole estremamente professionali e concise:
va come una bastarda.
Ma non quanto ci si aspetterebbe leggendo la brochure. Sì, perché la Cooper S 2014 impiega ufficialmente 6,8 secondi per accelerare da 0-100 km/h. Questo è il dato dichiarato. Ed è anche il dato non veritiero. Il che mette in dubbio la presunta precisione dei tedeschi. Ho cronometrato cinque volte il tempo 0-100 km/h e il risultato? 6,897 secondi di media. Quindi quasi 6,9. Quindi 0,097 secondi in più rispetto al dato dichiarato. So che quando si tratta di tempi tecnici e cronometrati con strumenti di alta precisione si deve necessariamente arrotondare sulla cartella stampa e sui listini per questioni pratiche, e so che ovviamente le case per farci bella figura tendono a tenere il margine a loro favore, ma questo ladrocinio di ben 0,097 secondi mi sembra un po’ eccessivo da parte dei tedeschi.
A parte questa importantissima differenza non c’è molto che non sia stato detto, scritto, pensato e pubblicato sulla MINI. Lo sapete ormai; il telaio, i motori e il design sono i pregi conosciuti. La praticità, il prezzo e la dotazione di serie le critiche più comuni.
La MINI è poco pratica, dicono. Sì, ma rispetto a cosa? Certamente guidarne una è più pratico rispetto a muoversi in treno, o in tram, o in autobus, o in aereo, o con qualunque mezzo di trasporto aereo o terrestre che non potete controllare direttamente. La MINI è pratica perché parte quando voi lo decidete e arriva dove voi volete arrivare. E sarà un piacere il tragitto.
Potrete portare tre amici e un paio di bagagli leggeri con voi e qualunque sia la destinazione il telaio renderà il percorso (specialmente per chi guida) particolarmente piacevole. Non è questione di dinamicità o aderenza, la MINI Cooper S è più leggera e vivace e frizzante delle rivali.
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Poi c’è il motore, che vi renderà il percorso molto breve. Non si tratta più del precedente 1600 cc turbo di derivazione PSA (gruppo Peugeot-Citroën) montato sulla “vecchia” MINI, la versione 2014 è mossa da un 2 litri turbo sviluppato da BMW stessa con oltre 190 cavalli. Probabilmente, consuma di più. Decisamente, corre di più. In particolar modo la velocità massima e la progressione sembrano aver beneficiato maggiormente dal nuovo motore (finalmente) prodotto in casa, mentre lo spunto da fermo e ai bassi regimi, per quanto migliorati, non sembrano superiori alle prestazioni della Cooper S precedente, non in maniera netta. Ma con l’allungo e l’accelerazione oltre i 4.000 giri le cose cambiano e il nuovo due litri c’è e si fa sentire e corre. E fa prendere multe. La facilità con la quale si superano i limiti di velocità consentiti è confortante. In particolar modo quando vi trovate nei pressi dell’autogrill di Serravalle Pistoiese dove, per chi non è pratico della zona, c’è forse l’unico autovelox funzionante dell’intera autostrada A11.
Ed è settato a 100 km/h.
Dopo circa sette minuti dalla partenza siamo già a Marina di Pietrasanta, dopo altri sessanta secondi l’auto è già parcheggiata davanti al bar Sirena al Lido di Camaiore. Tempo di Fika! Che in Svedese vuol dire semplicemente pausa caffè. Niente di più efficace per testare l’effetto che un’auto esercita sul pubblico di potenziali clienti che sedersi a bere un caffè tenendola bene in vista. Molti la guardano e molti altri hanno già capito che non è solo un’altra MINI: è la nuova MINI.
È più lunga, più larga e più ingombrante visivamente della precedente, il tetto è più alto nella parte anteriore e più spiovente nella parte posteriore, i fari sono più grandi e obliqui, la mascherina anteriore è più ampia e adesso integra la targa. Sono molti gli indizi rivelatori, ma sospetto che anche la scritta gigantesca sulla fiancata “TESTA LA RIVOLUZIONE: NUOVA MINI” sia di aiuto.
Niente da dire. Si muove come ti aspetti, si guida come ti aspetti, va come ti aspetti, attira gli sguardi come ti aspetti ed è semplicemente divertente da guidare come ti aspetti. E poi un altro po’.
È semplice capire quanto sia comprensibilmente sempre più complicato, col mercato dell’auto in Italia in parabola costantemente discendente da anni, considerare un’auto uno strumento di divertimento invece che un comodo ma costoso mezzo di trasporto, ma la MINI Cooper S 2014 è in grado di ricordarci il piacere di possedere, guidare e gustarsi un’auto. Senza dimenticare il piacere di guardarla. Nelle due precedenti versioni della MINI Hatch (2002-2006; 2006-2013) c’era qualcosa di mancante, una sensazione visiva di incompletezza solo leggermente migliorata con il restyling del Novembre 2006 (noto anche come R56). La MINI 2014 (F56) ha un aspetto…completo. Guardandola si ha la nuova sensazione che sia stato fatto tutto quello che poteva essere fatto per renderla bella.
Credo sia persino più bella, con buona pace del mio storico amico Marco proprietario della storica MINI “quella vera” (anno 1994, presente nelle foto) come la chiama lui, della MINI originale.
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Sì, la vecchia MINI ha più cuore ed è vintage e certamente dobbiamo gioire del fatto che ci siano persone che se ne curano e le conservano, ma detto questo voi cambiereste il vostro attuale flat-screen HD super-mega novanta pollici con un televisore in bianco e nero a tubo catodico del 1970? Appunto.
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La nuova MINI è questo: un solido e tecnologico e utile televisore ultrapiatto. Moderno e funzionale.
Avrà meno fascino e anima della bisnonna nata mezzo secolo fa, ma è un’auto vera ed è dimostrabilmente migliore di tutte le rivali e di gran parte delle auto che si trovano in strada oggi. E soprattutto a conti fatti, ha molto, ma molto, ma molto più senso.


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L’auto.
Mini Cooper S M.Y. (model year) 2014
Prezzo di partenza: 24.950 €
Colore consigliato: British Racing Green; Thunder Grey Metallic (come in foto)
Prova Originale
Prato (PO); Montecatini Terme (PT);
Marina di Pietrasanta, Versilia, Toscana
Marzo 2014

Testo & Foto di Ale S.
flabbergasted ltd.

Lotus Elise, Divertente alla Follia

Amo gli Inglesi. Ci sono ovviamente alcune cose che non apprezzo. Non mi è mai piaciuto quello che mangiano, ad esempio. Non mi piace il loro cibo spazzatura, non mi piacciono i loro succhi di carne e schifezze simili, non mi piace quello che chiamano caffè, che per quanto mi riguarda è solo acqua scura dell’Etiopia, e non mi è mai piaciuto il Manchester United. Tuttavia, ci sono alcune cose Inglesi che adoro. Il loro accento, la loro presunzione. Adoro come abbiano inventato praticamente ogni sport esistente e poi si sono dimenticati come si gioca, la loro ingegneria, ma quello che mi piace di più di loro sono le loro auto. L’Aston Martin Vanquish e la Jaguar E-Type, per esempio, due delle auto più belle mai costruite. La Mini, che vi piaccia o no, un’auto intelligente e che detta moda.



E la Lotus Elise, probabilmente la mia preferita di sempre. E’ leggera, è pungente, è scattante, è attraente, è una spider, e soprattutto, rappresenta la quintessenzialità del pensiero Britannico. Anche se il motore è un 1.8 litri Toyota costruito in Giappone. E deve il nome alla nipote di un imprenditore Italiano. E ad oggi, la Lotus, la casa automobilistica che la produce, è di proprietà della Proton, che viene dalla Malesia. A parte questi futili dettagli, tagliamo corto: adoro quest’auto. Adoro come ti fa sentire quando la guidi, adoro il fatto che per una quantità di soldi relativamente bassa (soprattutto se la si compra usata) fa arrossire auto ben più cavallate e costose. Ma soprattutto l’adoro perché è esagerata. La maggior parte delle auto sportive, quando le guardi, sembrano dirti “hai visto come sono gnocca?” mentre l’Elise sembra fissarti di rimando e chiederti: “che c***o guardi?” Adoro queste auto, le adoro perché sono da intenditori, auto che piacciono a chi va oltre, auto esagerate, scomposte, irrazionali, perché se avete circa 40.000 euro a disposizione da spendere su un’auto e comprate una Mercedes o una BMW quello che state effettivamente dicendo è: sono una persona cupa, ho un sacco di soldi che probabilmente non mi sono guadagnato e il mio cantante preferito è Gigi D’Alessio. Se invece con i soliti soldi prendete una Lotus Elise quello che state dicendo al mondo è: sono completamente fuori di testa, mi diverto come un matto e ne vado fiero. Poi ci sono le auto per “arrivati”, Porsche soprattutto, per quelli che ci tengono a farvi vedere come loro siano fighi e possano permettersi una Boxster e voi no. Ditemi la verità, quante volte vi è capitato di sentire un rombo in lontananza e poi avete visto avvicinarsi un tipo con gli occhiali da sole anche se piove che guida una Boxster? Troppe. Vi siete emozionati? Avete provato qualcosa? Forza, dai, mano sul cuore: quanti di voi si emozionano DAVVERO per una Porsche? Io personalmente ho tre gusti in fatto di auto: Lotus Elise, Dodge Viper, Mitsubishi Evo. Notate niente in comune tra queste tre auto? Un giocattolino britannico che pesa meno del sedile di una Mercedes, una quattro porte giapponese che prende curve di 500 gradi a 300 all’ora e un’americana con un motore abbastanza grosso da muovere un pianeta. Sono auto da pazzi. Ecco perché l’ho voluta provare, perché è un’auto da pazzi. Guidare una Lotus Elise in pista è un po’ come frequentare un caro amico, sempre in prima linea quando c’è da divertirsi o aiutarvi, sempre il primo a voler andare alle feste ma che ama ammazzare le persone con un martello, di tanto in tanto: vi divertite e siete contenti, ma non sapete mai quando potrebbe farvi fuori.

L’ho guidata sul circuito Il Sagittario di Latina e io non sono un pilota professionista ma devo dire: ommammamia. E’ incredibile, è composta, precisa, ti parla. Quando affronti una curva anche a velocità molto sostenuta (leggi 180 km/h) ti dice: “ok, ok, ok, ci sei, avanti, ancora un po’, ok basta!” E’ talmente precisa che se la guidate su un circuito bagnato dopo la pioggia, sarete in grado di contare il numero di gocce che sono cadute dalla reazione dello sterzo. E’ quasi impossibile perdere il controllo. Il motore è un 1.8 Toyota con 192 cv, trazione posteriore, peso della vettura 860 kg. 0-100 in 5 secondi. Immaginiamo la scena: Al Semaforo, voi con la vostra Elise, BMW Z4 35i 306 cv, SLK 350 272 cv, Porsche 911 Targa 4 345 cv, scatta il verde e nessuna di queste auto, neppure la 911 sarà in grado di battere l’Elise in accelerazione. Oltretutto essendo leggera e con un motore piccolo i consumi sono da utilitaria, così gli eco-ambientalisti saranno felici e potranno proseguire le loro giornate a mangiare erba o qualcosa del genere. Comunque, se si guarda oltre la bella pelle e le caratteristiche di guida ha dei difetti. Il rumore del motore ad esempio. L’Elise è un’auto molto silenziosa…finchè non si accende. Poi il rumore del motore si fa sentire, sempre. A qualunque numero di giri, qualunque sia l’utilizzo che se ne voglia fare. Il che può essere piacevole fino a che non ti sanguinano le orecchie. Anche gli interni hanno qualcosa che potrebbe non piacere a tutti: i tappetini, tanto per cominciare, non ci sono. Sì, c’è l’aria condizionata, che devo dire nel modello che ho provato non funzionava, ci si siede molto in basso su sedili duri come la testa di Mario Balotelli, c’è un lettore CD che è inutile perché mentre si viaggia non si sente niente, fa un gran caldo nell’abitacolo perché il motore è dietro le spalle, non c’è controllo di trazione né controllo di stabilità né servosterzo né altre diavolerie tecnologiche, c’è un ABS ma è da corsa, quindi a meno che non stiate frenando da 200 km/h su ghiaccio, non reagirà. L’Elise ha un altro grosso problema: il prezzo. Sì, lo so, ho detto che è conveniente. Ed è vero, lo è, per trovare un’altra auto in grado di competere bisogna come minimo scomodare rivali da 80.000, 90.000 euro in su, ma, a meno che non la si compri usata (scelta caldamente raccomandata) da nuova, con un prezzo di partenza di quasi 36.000 euro per la versione S (136 cavalli), non è esattamente regalata. Si tratta comunque degli stessi soldi che servono (più o meno) per un’Audi TT, o una BMW Z4, o una Mercedes SLK, e se comprate la versione che io ho provato, quella da 192 cavalli, o addirittura la più potente in assoluto, quella da 222 cv, arriverete ad un prezzo di 48.000 euro, quanto una Porsche Boxster nuova. Allora perché questa? E’ piuttosto semplice, a dire la verità. A differenza della concorrenza tedesca, questa non è auto che si compra perché è tecnologicamente avanzata. Non si compra perché va di moda o per fare i fighetti. Non è un’auto che compri perché paga papà, o perché ne hai bisogno. E’ un’auto che compri perché LA VUOI. E se solo potete, compratevela, non c’è nient’altro, a costi umani, di altrettanto divertente.



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Prova originale: Circuito il Sagittario di Latina, anno 2010
Categoria: auto - prove su strada e recensioni
Testo & Foto: Ale S
flabbergasted ltd. leavemeflabbergasted.com
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